venerdì 31 ottobre 2014

ELEZIONI IN UCRAINA: UN PARLAMENTO IN MANO ALLA MINORANZA NAZI-LIBERISTA di Kolesnik Dmitriy *

31 ottobre.
Straordinaria simmetria tra quel che avviene in Ucraina e quel che avviene in Italia. Scrive Kolesnik che il futuro governo ucraino prevede queste misure drastiche: "il cambiamento dello Statuto del Lavoro inteso a limitare i diritti dei lavoratori;  il diritto di licenziare i lavoratori senza l'approvazione del sindacato; l'annullamento della divieto di riduzione del numero di ospedali e cliniche; la privatizzazione delle miniere di carbone e del sistema ferroviario-stradale; il rifiuto della regolamentazione dei prezzi dei prodotti agricoli, ecc".  Renzi lo fa con le "buone", Poroshenko usando le bande naziste. Stessa politica neoliberista.


Le elezioni parlamentari ucraine, tenutesi il 26 ottobre, hanno mostrato anzitutto quanto profonda sia la divisione del paese. L'affluenza è stata molto più bassa rispetto a tutte le elezioni precedenti e l’affluenza mostra la divisione e la scissione del Paese —fatto che viene continuamente mascherato dai nazionalisti ucraini e dalle autorità recentemente da essi al potere.

La metà degli aventi diritto al voto hanno boicottato le elezioni in quanto non attribuiscono ad esse alcuna utilità, dal momento che la loro volontà venne apertamente violata lo scorso febbraio durante il colpo di stato. Abbiamo così che l'Ucraina ha un Parlamento ed un Presidente che rappresentano in realtà solo una parte del paese —fatto che contribuisce inevitabilmente alla escalation della guerra civile. L'intera campagna elettorale si è svolta in un'atmosfera d’intimidazione e di terrorizzazione degli avversari politici, ciò che ricorda le elezioni del 1933 in Germania —"libere e giuste" nonostante gli attacchi permanenti e il terrore contro la sinistra, i sindacati ed i dissidenti.

Il presidente Poroshenko ha salutato i risultati delle elezioni, perché "finalmente non ci saranno più i comunisti nel Parlamento". A dire il vero, non ci sarà più alcun tipo di sinistra, nemmeno socialdemocratica: tutto lo staff del nuovo Parlamento è quasi completamente di destra e neoliberista.

Come sono riusciti a cacciare gli avversari politici? A tal fine sono stati utilizzati le varie
 milizie paramilitari ed i  teppisti nazisti, come Settore destro e varie bande armate non identificate.

Ricapitoliamo solo alcuni dei recenti incidenti.
"Sabato 27 settembre, il Partito Comunista Ucraino (KPU) aveva chiamato ad una" Marcia per la Pace ". La Marcia è stata vietata dalle autorità e la manifestazione è stata attaccata da teppisti fascisti. La polizia ha poi proceduto ad arrestare decine di manifestanti, tra cui il primo segretario del KPU Kharkov". Prima "i teppisti fascisti avevano bruciato bandiere e materiali del Partito comunista".
Il giorno dopo, la polizia e la Guardia Nazionale hanno invece permesso e protetto la manifestazione di "Ucraina unità", che si è conclusa con la distruzione da parte di teppisti fascisti della statua di Lenin.
manifestazione della sinistra ucraina con Borot'ba (2013)
 «Il 18 settembre una banda di teppisti fascisti appartenenti principalmente agli ultras della locale squadra di calcio Metallist ha attaccato un raduno del Partito comunista per protestare contro l'aumento dei prezzi e la cosiddetta "operazione antiterrorismo " contro il Donbass promossa dal governo di Kiev. La tattica di usare hooligan trasportati da altre città per terrorizzare gli avversari e incoraggiare i propri seguaci era già stata usata in diverse città nei giorni precedenti al massacro di Odessa del 2 maggio, occasione in cui gli hooligan d’estrema destra della squadra Metallist di Kharkov svolsero un ruolo decisivo. Il 14 settembre ultras dai Carpazi e  dalla Vorskla, prima di una partita di calcio locale, hanno marciato insieme con i soldati del neo-nazista Battaglione Azov in un’ altra "marcia per l'unità».
I leader del Partito comunista di Dnipropetrovsk i sono stati arrestati senza mandato.
A questo si deve aggiungere la campagna di linciaggio contro i funzionari pubblici di sinistra.
«Dagli inizi di settembre una dozzina di parlamentari, consiglieri comunali e di altri funzionari accusati di “sbagliare” sono stati sbattuti fuori dai loro uffici da parte di bande mascherate nella campagna nota come " Sfidiamo la spazzatura».
 I responsabili —spesso membri di Settore Destro— affermano che le umiliazioni pubbliche servono per punire la corruzione e la criminalità che hanno caratterizzato il precedente regime. Scrive il britannico Telegraph che questi attacchi sono solo ad un passo verso la giustizia della folla e la pratica dei linciaggi pubblici.

Ancora una volta vediamo come candidati e partiti “scomodi” sono presi di mira in modo che, con la violenza di estrema destra, si ottenga il risultato desiderato: l’adozione di misure di austerità, di tagli sociali, continuando la guerra contro il proprio popolo.

Le elezioni anticipate sono state necessarie per lo più per avere un parlamento obbediente in grado di adottare leggi impopolari e tagli alla spesa.
Come scriveva l'economista marxista Michael Roberts nell’agosto scorso:
«Il nuovo presidente Poroshenko, uno degli oligarchi in lotta dell'Ucraina (nel suo caso, il re dei dolciumi), ha sciolto il parlamento e indetto le elezioni per il 26 ottobre. Le elezioni porteranno probabilmente alla rimozione di tutti i vecchi sostenitori dell'ex presidente filo-russo spodestato che siedono ancora in parlamento. Essi hanno infatti sin qui bloccato in Parlamento tutti i tentativi da parte dell’attuale custode Primo ministro Arseniy Yatsenyuk di applicare i dettami del FMI, inscritti nel programma di “riforma”  per ottenere il prestito di 17 miliardi di dollari  concordato l’aprile scorso.In cambio dei soldi del FMI —che saranno utilizzati per rimborsare i debiti esteri e finanziate le spese dello stato (anzitutto per le armi)—, il governo di Kiev ha accettato enormi tagli alla spesa pubblica, alle pensioni ed al welfare e, soprattutto, di privatizzare gli enti statali e aumentare le tariffe di energia per il riscaldamento e il carburante di oltre il 40%, una riduzione complessiva della spesa pubblica del 6,75% del PIL».
Così, vediamo ancora una volta, come durante Maidan, l’uso dello stesso schema: noleggiare ed usare i fascisti in modo da far passare il programma neoliberale ed adottare misure di austerità.

Nel nuovo Parlamento vediamo molti nazionalisti di estrema destra: soprattutto i comandanti dei battaglioni di volontari neo-nazisti e nazionalisti inseriti nelle liste dei partiti.
Nazisti ucraini durante "maidan"
Tra questi ad esempio Andriy Biletsky il comandante del Battaglione Azov, e leader della Assemblea Sociale Nazionale. Come riferisce la stessa BBC l’obiettivo dichiarato di questa forza politica è quello di:
«preparare l'Ucraina per l'ulteriore espansione e di lottare per la liberazione di tutta la Razza Bianca dal dominio del capitale speculativo internazionalista, di punire severamente le perversioni sessuali ed eventuali contatti interrazziali che portano all'estinzione del bianco l'uomo. (…) Questo battaglione è stato formato e armato dal ministero degli Interni dell'Ucraina».
Tra gli altri hanno ottenuto seggi in Parlamento Dmytro Yarosh, Boryslav Bereza e Andriy Denysenko dalla coalizione neofascista Settore Destro.
Non meno pericoloso sintomo dell’avanzata dell’estrema destra è il risultato del Partito Radicale di O. Lyashko, socio del battaglione di neo-nazista Azov.
Il Partito Radicale di O. Lyashko ha ottenuto il 7,5% dei voti e, tra gli altri, ha portato in Parlamento come nota figura dell’estrema destra nazionalista Yuriy Shukhevich —figlio di Romano Shukhevich— un criminale di guerra nazista responsabile per l'olocausto e il genocidio di civili in Ucraina e Bielorussia durante la Seconda Guerra Mondiale.

Un altro deputato eletto in Parlamento nelle liste del Partito Radicale è Ihor Mosiychuk, attivista e uno dei leader della neo-nazista Assemblea Sociale Nazionale ed uno dei comandanti del famigerato Battaglione Azov.

Tuttavia, la tendenza più pericolosa è che partiti tradizionali cosiddetti "rispettabili" adottano l’agenda e la retorica ultra-nazionalista, quindi inseriscono i neo-nazisti nelle loro file e li promuovono alle posizioni più alte.
Un analista ha così commentato questa tendenza:
«Il fatto che i fascisti dichiarati in Ucraina non abbiano ottenuto un grande successo nelle urne è in parte dovuto in primo luogo allo spostamento a destra del 'centro' politico che ha così occupato lo spazio politico dell’estrema destra. La dice lunga che l'attuale primo ministro stia facendo offerte a Yarosh per dargli un posto di rilievo e che il Fronte Popolare sia pieno zeppo di gente come Andrij Parubij [il fondatore dell’Assemblea Social-Nazionale]».
 Scrive Peter Mikhailenko in "In difesa del marxismo":
«Svoboda ha perso consensi, ma ciò non equivale ad una ridotta influenza dell’estrema destra. E’ sufficiente guardare alla strategia elettorale del Fronte popolare. Esso è un'alleanza tra gli oligarchi e i leader dei battaglioni filo-occidentali della Guardia Nazionale, tra cui molti elementi di estrema destra, come Tetyana Chornovol, un attivista di estrema destra che fino a poco tempo fa era una figura di spicco nella estrema destra organizzazione UNA-UNSO [militanti ucraini dell'organizzazione di estrema destra responsabili di una serie di aggressioni violente]».
Il leader dell’organizzazione ucraina  marxista rivoluzionaria Borot'ba ha commentato l'esito delle elezioni affermando che:
«L’elettorato d'estrema destra nazionalista è ancora qui. Mentre il voto ai partiti di destra è cresciuto notevolmente. Non sono scomparsi, naturalmente, i sostenitori tradizionali della sinistra, ma, ma a differenza della direzione del Partito comunista non hanno illusioni parlamentari. Milioni di persone si sono rese conto che la loro partecipazione alle elezioni è assolutamente inutile, perché le elezioni stesse sono organizzate in modo tale da privarle deliberatamente di qualsiasi rappresentazione ignorando le loro posizioni».
Usando la retorica nazionalista e reprimendo le proteste sociali grazie ai paramilitari di estrema destra, il governo continuerà a saccheggiare il paese e imporre tagli sociali senza alcuna seria sfida da parte degli avversari.
In campo economico la futura coalizione parlamentare ha già annunciato i piani per privatizzazioni di massa e di svendita delle aziende pubbliche.

Gli accordi del futuro governo prevedono misure drastiche: il cambiamento dello Statuto del Lavoro inteso a limitare i diritti dei lavoratori;  il diritto di licenziare i lavoratori senza l'approvazione del sindacato; l'annullamento della divieto di riduzione del numero di ospedali e cliniche; la privatizzazione delle miniere di carbone e del sistema ferroviario-stradale; il rifiuto della regolamentazione dei prezzi dei prodotti agricoli, ecc.

I piani del nuovo governo e del Parlamento consistono per lo più in "riforme" neoliberiste, deregolamentazione, privatizzazione e altri miracoli richiesti dal FMI.

Nel frattempo, la produzione industriale nel mese di agosto è scesa del 21,4% rispetto ad agosto 2013 e del 16,6% nel mese di settembre. Le importazioni sono diminuite del 23,5% negli ultimi 9 mesi [rispetto al periodo analogo dell'esercizio precedente]. Le esportazioni sono diminuite del 6,8%, nonostante tutte le promesse da parte dell'UE circa condizioni favorevoli.

In una tale drastica situazione di collasso economico il governo ucraino può contare solo sulla strategia di guerra permanente contro il proprio popolo, contando sulla censura dei media e il terrore di estrema destra. Ma ha bisogno di soldi per questo: e l'unica fonte per pagare le avventure militari, i teppisti di estrema destra, e gli oligarchi al potere, è il contribuente occidentale.

Solo grandi somme di denaro e il terrore dispiegato possono contribuire a mantenere al potere il governo e il Parlamento, che rappresenta in realtà la minoranza della società.

*Giornalista ucraino 

** Fonte: web-journal Liva (liva.com.ua) - Campo Antimperialista
*** Traduzione a cura di Campo Antimperialista

giovedì 30 ottobre 2014

DESTRA, SINISTRA, USCITA DALL'EURO di Moreno Pasquinelli

30 ottobre

Riteniamo utile ripubblicare questo contributo, apparso il 31 ottobre dell'anno passato col titolo "DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA: TRAMONTO O ECLISSI?"

Occorre sempre distinguere, nella sfera delle idee, ciò che è caduco da ciò che è invece imperituro. I tempi lunghi della storia hanno sempre condannato all’oblio le concezioni che rivelano di non avere sostanza veritativa, che non poggiano cioè né su sicure basi etico-politiche, né su fondamenta storico-sociali. Essendo di quest’ultima specie la sorte dell’idea secondo cui sarebbe finita l’antitesi destra-sinistra si è dimostrata una teoria di piccolo cabotaggio.
La fine del postmodernismo 

Essa non venne al mondo bell’e fatta, ma dopo un lungo travaglio. Si doveva bonificare il terreno, sradicare la "malapianta" del marxismo. Furono i filosofi francesi post-strutturalisti coloro che fecero la gran parte del lavoro. Incarnando il desiderio delle classi dominanti di rimuovere i “terribili” anni ’70, postularono che l’epoca della “modernità” si fosse chiusa, che si era oramai entrati in quella della “postmodernità”. In altre parole che le società occidentali non erano più capitalistiche ma strane amebe “post-borghesi”. Una visione che ebbe pieno corso negli anni ’80 del secolo scorso, per poi dilagare negli anni ‘90.

Qual era il cuore di questa visione? Che col tramonto dell’epoca delle contrapposizioni di classe moriva ogni progetto di trasformazione rivoluzionaria della società, che deperiva l’ordine simbolico che aveva strutturato l’immaginario collettivo novecentesco. Quindi i funerali del comunismo, liquidato come desueta “grande narrazione” utopistica. 

Francois Lyotard

Alla domanda se questa visione avesse qualche ragionevole consistenza la risposta è: certamente sì. 

Dopo il decennio rivoluzionario dei ’70 il sistema capitalistico occidentale conobbe un durevole periodo di pacificazione e di stabilizzazione. L’avanzata del movimento operaio e rivoluzionario si arrestò, dilagò il fenomeno della cetomedizzazione di vasti strati di proletariato, il grosso delle sinistre politiche, da espressione per quanto riformistica della spinta emancipativa operaia dal lavoro salariato, divennero forma di istanze opposte, quelle all’imborghesimento. Eccetto lodevoli sacche di resistenza, esse subirono una trasformazione sostanziale: la loro identità non era più ancorata all’obbiettivo di abolire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e quindi delle classi, ma alla difesa e alla conquista di nuovi e variopinti diritti civili. Per cui la dicotomia sinistra-destra non aveva più altri contenuti se non quelli ideal-tipici dei valori etici, la cui cifra stava sulla retta sbilenca ai cui poli stavano il “progresso” e la “conservazione”. 

Il crollo del Muro di Berlino (1989) e la dissoluzione dell’URSS (1991), segnando l’epitaffio dei tentativi di fuoriuscita dal capitalismo, consolidarono la fascinazione narrativa del discorso sulla fine della tradizionale dicotomia destra-sinistra, che divenne così un vero e proprio mantra, un segno distintivo del pensiero unico liberal-progressista. Grandi apparati culturali e mediatici lavorarono alacremente affinché questa pappetta diventasse “senso comune”. 

E qui ci spieghiamo come mai accadde che anche pensatori eretici, provenienti sia dall’estrema sinistra che dalla barricata opposta, caddero nella trappola, fecero loro il concetto, lo trasformarono anzi in una bandiera, teorizzando addirittura, di contro al partito-unico-politicamente-corretto, il sodalizio politico del “pensiero radicale oltre la destra oltre la sinistra”. Tentativo condannato alla sterilità ma che fece gridare allo scandalo del “rosso-brunismo” le anime belle della sinistra borghese. II limite fatale di questi pensatori stava proprio nel manico, nel fatto che essi, prendendo il pacco della morte della “grande narrazione marxista” si son tenuti anche il suo contenuto, quello della fine del conflitto antagonista e di ogni idea di emancipazione rivoluzionaria dal capitalismo.

Il filosofo che in Italia si fece araldo di questo discorso e lo portò alle estreme conseguenze è stato Costanzo Preve, che scriveva:
Costanzo Preve e Diego Fusaro
«Quando l’opposizione fra Destra e Sinistra nacque alla fine del Settecento in Francia, e quando poi si sviluppò e si allargò nell’Ottocento e nel Novecento nel mondo intero, vero e proprio esempio di globalizzazione ideologica che accompagnava una contestuale globalizzazione economica capitalistica, questa opposizione rispecchiava divisioni storiche reali, e strutturava un campo politico di conflitti nel nuovo modo orizzontale che sostituiva il vecchio modo verticale tipico dei conflitti di tipo precapitalistico, signorile e feudale. Alla verticalità del vecchio campo simbolico religioso si sostituiva l’orizzontalità del nuovo campo simbolico politico. La politica sostituiva progressivamente la religione nell’espressività individuale e collettiva dei conflitti sociali. Tuttavia, nel corso degli ultimi duecento anni, a causa soprattutto dell’integrazione culturale negli apparati ideologici e politici della classe dominante, in un primo tempo borghese-capitalistica e poi oggi semplicemente capitalistica (e post-borghese), l’opposizione fra Destra e Sinistra ha smesso di descrivere un conflitto sociale reale, ed ha cominciato a funzionare come protesi artificiale di strutturazione simbolica di un conflitto controllato e manipolato. In proposito, mi permetto di rimandare ad un mio breve scritto in cui questo fondamentale problema è trattato in modo più sistematico». [1] 
Sono oramai trent’anni (un bell’arco di tempo) che si chiacchiera della fine della dicotomia, ma da nessuna parte sono sorti, né un pensiero, né un movimento politico anti-sistemici, che siano stati capaci di andare "oltre" la destra e la sinistra —a meno di non credere alla battute di Sgarbi,  alla autorappresentazione confusionaria di Beppe Grillo, o di farsi abbindolare dalla novella Giovanna D'Arco di Marine Le Pen. E non sarà un caso se dopo trent’anni di cupio dissolvi dell’eredità del novecento, tutta la comunicazione verbale e segnica, per quanto in maniera deviata, non riesca a prescindere da questa polarità, che dimostra una vitalità irriducibile. 

Il tentativo di sradicare l’eredità del "secolo breve", di far diventare “senso comune” la nuova ideologia “oltre la destra oltre la sinistra”, non ha scavato così a fondo. Resta pressoché intatta, nel’inconscio, come in larga parte dell’immaginario collettivo, l’idea che di sinistra è chi difende i diritti degli sfuttati e degli oppressi e immagina una società egualitaria, mentre di destra è chi sta dalla parte dei ricchi e difende la divisione in classi della società. Lo stesso Preve, al netto della “fine della dicotomia”, non può che confermalo. [2]

Ideologia e rapporti sociali 



Che un postulato esprima processi sociali reali non è sufficiente affinché questo sia vero. Il fatto è che quello sulla fine della dicotomia, presentandosi appunto come paradigma teorico, presumeva che i fenomeni di cui era riflesso nella sfera ideologica, fossero definitivi e irreversibili —essi invece non lo erano, di qui la portata necessariamente transitoria di quel postulato.

Il capitalismo occidentale, per ragioni che esulano adesso dal nostro campo d’indagine, è entrato, almeno dal collasso finanziario del 2008, dentro una crisi storico-sistemica di lunga durata. La fase della stabilizzazione è finita e siamo entrati in quella di sconquassi a catena. L’apparenza che fossimo entrati in una società post-capitalista e post-borghese, che la storia fosse finita, che la lotta di classe fosse un ricordo di tempi andati, ha lasciato tracce ma sta esaurendo la sua forza espansiva. Dalla crisi il capitalismo occidentale non potrà infatti uscire senza produrre un pauperismo generalizzato, senza strappare al lavoro salariato tutti i privilegi che l’avevano corrotto, senza quindi mezze misure e forse anche preparandosi ad un’epoca di vere e proprie guerre civili e nuovi conflitti nazionali.

Entriamo in un periodo di tempeste sociali, in cui nuove generazioni proletarie, pur prive di memoria storica, saranno obbligate a guardarsi allo specchio inorridite e quindi a riacquisire coscienza dei loro propri interessi, a combattere per non precipitare nella schiavitù, e quindi tenute ad immaginare un mondo in cui si produca e si viva per il comune benessere, e non invece per valorizzare il capitale e i fasti di un’ esigua classe sociale milionaria. 



Che il marxismo debba essere depurato dalle sue aporie e dal suo messianismo; che sia necessario riformulare un pensiero rivoluzionario; che debba essere ricostruita e forgiata nel conflitto una nuova idea di socialismo; tutto questo è certo. Ma allora è anche certo che lo scontro tra le classi fondamentali farà a pezzi tutti gli effimeri travestimenti e si rappresenterà nuovamente nelle forme polari di sinistra e destra. Poiché, al di là di tutte le fumisterie concettuali, i concetti di sinistra e destra non sono che l’espressione simbolico-politica della lotta irriducibile tra le classi, lotta che risorgerà dopo che era stata temporaneamente soppressa. 

Il fatto che questo proletariato nascente, figlio della tempesta storica, riesca finalmente ad avere la gramsciana capacità di fungere da “guida morale e spirituale” del popolo, ovvero di essere la forza motrice di un mutamento sistemico e di universale emancipazione, questo non è predeterminato, dipende da diversi fattori sociali e politici; ma ciò ha poco a che vedere con la opposizione tra le classi, motore del divenire storico, da cui la dicotomia inequivocabilmente scaturisce.

Terzocampismo e sovranismo 

E’ un fatto tuttavia che dopo un periodo d’inabissamento il pensiero terzocampista della fine della dicotomia sembra conoscere un momento di gloria. 

Il terreno su cui rifiorisce è concimato dalla tendenza all’implosione dell’Unione europea e della moneta unica. La percezione che il nostro paese viva una catastrofe di portata storica, che l’uscita dalla gabbia eurista sia la precondizione per la salvezza, si è diffusa velocemente, se non tra le larghe masse, negli ambienti del ceto medio e dell’intellighentia che hanno ripreso coscienza dopo il lungo letargo occuopaato dalla pantomima berlusconismo-anti-berlusconismo. Si tratta di migliaia di cittadini provenienti da diverse sponde politiche, ma il più dei quali viene proprio dall’implosione del blocco sociale berlusconiano, mondo dal quale si portano appresso non pochi pregiudizi anticomunisti.

Non abbiamo nulla contro i berlusconiani e contro i fascisti che 
che hanno compreso la truffa liberista dell’euro e che si sono pentiti del loro peccato originale. E’ un brutto spettacolo che ci siano diversi preti i quali, pur di assolverli e di rimuovere il loro intimo senso di colpa, assecondino la loro falsa coscienza facendo del superamento dell’antitesi destra sinistra addirittura una vera e propria teologia.  Pur di consolarli tali intellettuali giungono a dimenticare il fatto storico inoppugnabile che l’Unione e l’euro sono figli di un progetto strategico NATO a destra e cresciuto imperialistico. Usano l’alibi della tarda conversione europeista della sinistra sistemica per nascondere il fatto che quella stessa sinistra, quando era tale, si è sempre opposta a quel disegno. Non è ammissibile che, allo scopo di lisciare il pelo a chi fino a ieri inneggiava alla magnifiche e progressive sorti del capitalismo, tali pastori si prestino all’operazione di far credere che la sinistra sia tutta eurista. Questo è davvero troppo, sintomo di una sfrontata disonestà intellettuale.

Sta di fatto che da un paio d’anni è tutto uno sbocciare (vivaddio!) di voci che inneggiano contro il regime dell’euro e alla riconquista della sovranità nazionale perduta. Fin qui tutto bene. Il fatto è che la richiesta sensata di una lotta unitaria contro il comune nemico del blocco bipolare eurista viene agganciata al discorso sulla “estinta dicotomia destra-sinistra”.

Questa visione delle cose ha vari interpreti, tra questi Diego Fusaro, che così ha recentemente espresso questa fisima: 

«Auspico la creazione di un nuovo aggregato politico che sappia spingersi al di là della vecchia dicotomia destra-sinistra...bisogna organizzare in forma unitaria tutte le forze sovraniste...uniti si vince, divisi si perde...bisogna fare astrazione dalle differenze che ci sono, dalle appartenenze politiche....perchè siamo davanti ad un incendio che bisogna spegnere...e chiedere la carta di identità dei pompieri è esiziale». [3] 
L’unione fa la forza: un appello di un buon senso disarmante. Il fatto è che nella sfera politica il “buon senso” ha il fiato corto. 
Non ci è chiaro se Fusaro abbia in testa la fondazione di un vero e proprio partito, se parli di un fronte basato su una comune piattaforma programmatica per il governo del paese, o se alluda a quello che, per semplificare, potremmo chiamare Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).

Ci sono non solo indizi ma "pistole fumanti" che alcuni intendono per “aggregato” un vero e proprio “partito sovranista”. Pur non confondendo quest’idea con la tesi scandalosamente fatalistica e politicamente vergognosa di Alberto Bagnai —secondo cui “saranno le persone sbagliate a fare la scelta giusta”, ovvero che non ci resterebbe che dare una mano alle élite di destra a farci uscire dal regime dell’euro—, noi la riteniamo una colossale sciocchezza. 


Il “sovranismo” è un concetto non solo polisemico, è astratto. Pensare di fondarci sopra un partito è come volerne fare uno sulla “democrazia”, sulla "giustizia" o sulla “libertà”. Vent’anni di berlusconismo e antiberlusconismo hanno lasciato il segno, di qui l’idea che si possano fondare partiti sulla fuffa, privi di una visione del mondo, protesi di élite volontariste e narcisiste.

Qual è l’esempio di paese sovrano per eccellenza che viene in mente a voi? A noi gli Stati Uniti. Il “sovranismo” si può sposare infatti con almeno tre opposti modelli sociali: il primo è appunto quello imperialista-liberista, il secondo quello autarchico (che ha diverse varianti), il terzo quello socialista e internazionalista.

E’ quindi autoevidente che si può uscire dall’euro in diverse e opposte maniere. E da che dipende la natura politica dell’uscita? Dipende dal blocco sociale che lo guida, dipende dall’idea di società che lo muove.

Non coniughiamo sovranità e socialismo per capriccio, lo facciamo a ragion veduta, perché pensiamo che un paese che voglia essere sovrano senza lasciar per strada la democrazia e giustizia sociale, non devesganciarsi solo dall’euro ma anche dal capitalismo-casinò, ovvero dalla morsa dei colossi finanziari imperialistici. Sappiamo bene che il socialismo è un punto d’arrivo che implica una lunga transizione. Quel che diciamo è che occorre sì uscire dall’euro ma avendo come fine lo sganciamento e la fondazione di una società che non affidi tutto al mercato, il cui motore non sia più la caccia al profitto.

Su questa strada è non solo possibile ma auspicabile un fronte ampio che mobiliti diverse forze sociali e politiche democratiche, sulla base di una piattaforma comune che metta al centro gli interessi e i bisogni del popolo lavoratore e che, attraverso una sollevazione generale, conduca alla nascita di un governo che guidi la fuoriuscita dal regime dell’euro. Questa è quella che chiamiamo “uscita da sinistra”, di contro alla “uscita da destra”, nelle sue due varianti principali possibili, la liberista e la lepenista.

Se abbiamo ragione, se diavolo e Acqua Santa non possono stare assieme, vedrete che noi avremo non uno, ma due fronti o blocchi sovranisti anti-euro. I terzocampisti si mettano l’anima in pace, questi blocchi saranno infatti percepiti dal senso comune, e quindi etichettati, uno come di sinistra e l’altro di destra. Essi marceranno in modo separato. Che possano coalizzarsi contro il nemico comune dipenderà dalle circostanze, se davvero precipiteremo in uno stato di sudditanza neocoloniale.

Qui entra in gioco il discorso sul CLN, questo si un "aggregato", necessariamente temporaneo, tra forze e blocchi sociali e politici non solo diversi ma opposti, che quindi, una volta ottenuta la “liberazione nazionale”, non potrebbe che sciogliersi, poiché ci sarebbe chi andrà al governo e chi all’opposizione. 


Siamo forse in una situazione del tipo di quella della seconda guerra? Forse che lo strapotere odierno della Germania è paragonabile all’occupazione militare nazista?

E’ certo che la battaglia per evitare l’abisso ha una dimensione nazionale ma affermare che il nostro Paese sia già ridotto ad una sudditanza di tipo coloniale è una semplificazione fuorviante, anzi una mistificazione. Il nemico fondamentale non sta solo oltre le Alpi, lo abbiamo dentro casa, ed è costituito dai settori dominanti della borghesia italiota che non sono mere cinghie di trasmissione della dittatura eurista, che sono parte integrante del regime di oppressione. 

Ove la crisi conoscesse un’ulteriore avvitamento, ove i funzionari politici italiani facessero definitivo fallimento, ove quindi la troika imponesse davvero un regime dispotico di protettorato in stile coloniale; ove questo accadesse la fondazione di un CLN sarebbe non solo plausibile ma un atto storicamente necessario. 

Non siamo ancora a questo punto. Il punto, adesso, è battere il regime politico e quindi le sue due gambe, del centro-sinistra e del centro-destra. Lo si può battere se daremo finalmente vita ad un fronte popolare che si candidi alla guida del Paese. E per guidare il Paese occorre un fronte, ampio sì, ma che abbia un chiaro e forte programma di governo articolato in poche e grandi trasformazioni sociali. [4E’ su questo terreno che i sovranisti debbono provare la consistenza del loro accordo, e così lottare per ottenere un consenso di massa senza il quale non ci potrà essere vittoria. 

Note 

[1] "Comunitarismo". Torino, 5 settembre 2001. cfr. C. Preve, "Destra e Sinistra", Editrice CRT, Pistoia, 1998).

[2] «Benché resti convinto del sostanziale esaurimento storico di questa polarità simbolico-politica, vorrei comunque segnalare due cautele metodologiche da tenere presenti per una migliore comprensione del problema. In primo luogo, non bisogna dimenticare che di fatto oggi la stragrande maggioranza delle prese di coscienza individuali e collettive del conflitto politico avviene (a mio avviso purtroppo, non per fortuna) sul terreno ideologico della polarità Destra/Sinistra. Il fatto che questa polarità sia quasi sempre artificiale e manipolata da apparati intellettuali interni al sistema di dominio non cambia il dato storico della situazione, per cui appunto ancora oggi la dicotomia funziona ancora da quadro genetico-psicologico per la simbolizzazione del conflitto politico. In proposito, non è sufficiente "smascherare" il carattere illusorio e manipolato della dicotomia, perché questo smascheramento non incide concretamente nella situazione, ma bisogna lavorare per una nuova e credibile teoria politica complessiva. In secondo luogo, è bene ricordare che l’esaurimento della dicotomia Destra/Sinistra riguarda soltanto i paesi centrali del dominio mondiale imperialistico (come USA, Inghilterra, Francia, Germania e Italia), mentre nei paesi dominati o minacciati dall’imperialismo (dalla Palestina alla Colombia, da Cuba alla Turchia), questa polarità continua a rispecchiare conflitti reali, ed è dunque ancora politicamente e culturalmente espressiva». Ibidem 
[3] Dall'intervento di Diego Fusaro al convegno di A/simmetrie. Pescara 26/10/13. Vedi anche: Se il capitalismo diventa sinistra; 3 aprile 2013; Lo spiffero
[4] Fronte popolare e governo d'emergenza, del Segreria nazionale del Mpl 

TERNI: LA FACCIA COME IL CULO

30 Ottobre.

In esclusiva la registrazione delle parole della Amministratrice delegata dell'Ast, Lucia Morselli, pronunciate la notte del 23 ottobre. Alle ore 00:45 si è recata presso il presidio degli operai in sciopero. Le sue vaghe promesse. Lo stupore e le contestazioni dei lavoratori.

[Nella foto un momento dell'ultimo sciopero generale svoltosi a Terni durante la contestazione ai capi sindacali]

Ieri mattina, mentre gli operai delle acciaierie Ast di Terni manifestavano pacificamente a Roma sotto l'ambasciata tedesca, hanno subito una carica della polizia. Ci sono stati feriti e contusi. La presenza del segretario FIOM Landini e dei giornalisti non è servita ad evitare l'attacco.
La polizia, arbitrariamente, ha attaccato e manganellato i lavoratori, a cui va la nostra solidarietà, mentre tentavano di recarsi al Ministero del cosiddetto "sviluppo economico".
La carica della polizia ieri a Roma
Renzi si affanna a dire che "i responsabili andranno puniti", a tutti è evidente che quel che è accaduto è la conseguenza della protervia con cui il governo procedendo sulla strada neoliberista vuole piegare la resistenza del movimento sindacale dei lavoratori.

Gli operai delle acciaierie di terni sono oggi in assemblea per decidere come proseguire la lotta contro i licenziamenti.

Nel frattempo ascoltatevi questa chicca:

mercoledì 29 ottobre 2014

NON SCHERZATE CON LA LEGA NORD di Angelo Russo

29 ottobre.
Riceviamo e pubblichiamo.

«La costellazione che si autodefinisce "sovranista" è composta in larga parte da persone per bene. Sociologicamente parlando è una "polvere d'umanità". Giovani e anziani, imprenditori e salariati, disoccupati e precari, intellettuali e non. 
Dal punto di vista delle idee politiche abbiamo un vero e proprio caleidoscopio: cittadini di destra e di sinistra, comprese le ali estreme, ma ci sono anche nostalgici della Dc, cattolici, mangiapreti e anche sette esoteriche. Chi più ne ha più ne metta.
L'idea che va per la maggiore è tuttavia quella che "oramai non ci sono più né destra nè sinistra". Con tutto il rispetto per chi la sostiene, essa nasconde, secondo me, un pensiero di destra.
Questa credenza è perniciosa. 
Vorrei spiegare perché.
la manifestazione di MIlano della Lega Nord
Certo, il fatto che anche il mussoliniano partito fascista e quello nazista di Hitler dei tempi andati dichiarassero che non era né di sinistra né di destra, non significa che chiunque pensi di collocarsi al di sopra di questa opposizione, sia fascista o nazista. 
Io temo però che "né destra né sinistra" sia il Cavallo di Troia con cui l'estrema destra tenti di farsi largo in mezzo al popolo.
La prova? Casa Pound, Forza Nuova, così come quasi tutte le altre sette neofasciste, a parole, si considerano oltre "la destra e la sinistra".

Ma il pericolo maggiore non viene da questi gruppi.
Il pericolo maggiore viene oggi dalla Lega Nord di Matteo Salvini e Borghezio, la quale non cerca solo di riciclarsi come Destra nazionale italiota, ma come destra xenofoba e fascistoide.
L'anti-euro quando non è solo una foglia di fico, è un orpello, una verniciatura di una politica che tiene assieme neoliberismo, razzismo, e l'opzione per lo Stato di polizia.
Piazza pulita fa venire le bolle e Formigli è un giornalista di regime, tuttavia è davvero istruttivo quel che è accaduto con Salvini l'altra sera:



Ancora più istruttiva la manifestazione "STOP INVASIONE" svolta dalla Lega a Milano il 18 ottobre. Si cavalcano demagogicamente i sentimenti xenofobi del popolino, ovvero lo si aizza contro i più deboli, non invece contro il grande capitalismo eurista e oligarchico. 

E non è un caso che i neo-fascisti di Casa Pound abbiano sfilato coi leghisti radunandosi da tutto il Paese. A vedere gli striscioni sembrava che il Diavolo e l'Acqua santa si fossero miracolosamente uniti: "Italia di merda//Prima gli italiani".
No! Non Diavolo e Acqua santa, ma i due volti di Belzebù! Non hanno sfilato assieme per caso, si tratta piuttosto di un'alleanza destinata a consolidarsi, e a cui occorre sbarrare la strada.

E qui torno ai sovranisti. Se davvero, come molti di essi dicono, si considerano democratici, se davvero, come dicono, vogliono il rispetto della Costituzione, essi debbono dire parole chiare, non solo sui neo-fascisti, ma pure su questa Lega che se li porta appresso.

E due parole voglio dirle sul Coordinamento della sinistra contro l'euro. State facendo un lavoro meritorio. Condivido che un domani, spero non lontano, si formi un Comitato di Liberazione nazionale. Chi ne farà parte lo si vedrà a momento debito, quando inizierà l'ultimo atto della tragedia che vive il nostro Paese. 
Lo spezzone di casa Pound a Milano

Guardiamo all'oggi. Una destra contro l'euro esiste, e sembra avere il vento in poppa, come il Fronte Nazionale in Francia. 

Oggi è prioritario costruire una sinistra sovranista no-euro forte, di massa, che faccia da contrappeso. Lo si può fare solo essendo e agendo come forza antagonista e alternativa alla Lega. Apparire invece collaterali alla Lega, essere indulgenti col suo infido anti-eurismo, sarebbe un suicidio».


PIÙ CHE UN COMPROMESSO UN RINVIO di Emmezeta

29 ottobre.
La Legge di stabilità Renzi-Padoan passa per ora il vaglio europeo.

E intanto nel "condominio Europa" si litiga su chi debba pagare la luce delle scale...

[Nella foto il corteo del 25 ottobre mentre si reca presso la Residenza di Mario Draghi a Città della Pieve]


Il provvisorio compromesso tra la Commissione europea ed il governo italiano è dunque cosa fatta. Così pure quello con l'esecutivo francese. Pur senza rispettare appieno i vincoli europei, Renzi ed Hollande ridurranno i rispettivi deficit previsti per il 2015. La recessione troverà così nuovo carburante, mentre il risultato dei "rigoristi" sarà in realtà assai modesto. Tutti si diranno vincitori, mentre invece sono tutti sconfitti.

Molti si sono chiesti se quella di questi giorni non sia stata semplicemente una commedia delle parti, una sceneggiata utile soltanto a salvare la faccia sia ai governi che alla Commissione. Ne dubitiamo, perché se così fosse il risultato sarebbe davvero modesto per tutti.


Prendete il caso di Renzi. Costui si è vantato di una manovra espansiva, simboleggiata da 11 miliardi di spesa in deficit. Ora, come riconosce il Corriere della Sera di ieri, questa cifra si ridurrà a 7 miliardi. Una goccia nel mare della recessione, certo non in grado di rappresentare una vera misura anticiclica, anche perché nella finanziaria non c'è traccia di una politica di investimenti pubblici.

Ma questo, signori, è il liberismo. Chiuso nella granitica certezza di una ripresa figlia del «mercato», e più esattamente frutto di un'intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro. Per convinzione e/o per necessità, costoro credono davvero che il Jobs act favorirà la ripresa degli investimenti privati. Un'ipotesi tutta da dimostrare e che la storia di questi anni ci mostra semmai quanto sia irrealistica.  

Ma anche i rigoristi non ne escono bene. Le loro bacchettate sulle dita dei governi nazionali non sembrano infatti sufficienti a salvare ciò che gli sta a cuore: l'impalcatura di regole e regolette che serve a tenere in piedi la loro creatura fondamentale, la moneta unica.

La situazione si presenta dunque assai incerta. Roma e Parigi hanno detto in sostanza che queste regole (quelle fondamentalmente riconducibili al Fiscal compact) non possono funzionare, ma non hanno voluto mettere in discussione quel sistema che le rende necessarie. A Bruxelles, come a Berlino, invece, non c'è nessuna intenzione di cambiarle, ma una certa difficoltà a farle rispettare è assai evidente.

In un quadro del genere, anche per l'oggettiva debolezza dei vari soggetti in campo, è naturale che si sia arrivati ad una soluzione di compromesso. Ma uno di quei compromessi che non risolve alcun problema, semplicemente li rinvia.

La piccola trasgressione dell'asse Parigi-Roma non modificherà il trend economico negativo, come del resto la piccola correzione ottenuta dalla Commissione non basterà certo a rimettere ilFiscal compact in carreggiata.

Siamo dunque ad un semplice rinvio dei nodi irrisolti ai prossimi mesi, quando sarà evidente, ad esempio, la prosecuzione della recessione italiana, tanto più acuta quanto più il governo vorrà intestardirsi nella politica dei tagli. Oltretutto, molte voci della Legge di stabilità sono assai dubbie, a partire dal maggior gettito previsto dalla lotta all'evasione fiscale. Una voce del tutto aleatoria, e proprio per questo da mettere a bilancio solo a consuntivo, non certo a preventivo. E invece, nella lettera a Katainen, Padoan si impegna (oltre ai 3,8 miliardi già inseriti con sospetta faciloneria nelle "entrate") a reperire altri 730 milioni di euro dall'estensione del cosiddetto «reverse charge», un diverso meccanismo di riscossione dell'IVA la cui efficacia è in realtà tutta da dimostrare.

Che i problemi siano solo rinviati di qualche mese è reso piuttosto esplicito da un passaggio della lettera recapitata a Roma ieri sera, nel quale il commissario Katainen spiega che: «eventuali futuri passi secondo le regole del patto di Stabilità e di Crescita saranno decisi più in là, sulla base delle previsioni economiche di autunno della Commissione e delle opinioni sui bilanci previsionali». Una puntualizzazione che basta ed avanza... E che descrive assai bene l'attuale disordine europeo, una situazione che può produrre compromessi ma non soluzioni.

E che quella odierna sia un'Europa senza bussola, terreno di scontro tra diversi interessi e i diversi Stati, è reso evidente anche da altri recenti «fatterelli», non solo dalle vicissitudini delleLeggi di stabilità. Del caso dei dubbi criteri voluti dalla Bce per gli «stress test» bancari si è già occupata sollevAzione. Vediamo qui, invece, quello della «lite condominiale» scoppiata nel vertice europeo della settimana scorsa.

Una vicenda, quest'ultima, che sembrerebbe inventata da qualche «antieuro internettaro» voglioso di denigrare a tutti i costi l'Unione, che invece sa screditarsi benissimo da sola. Di cosa si tratta? Come tutti ricorderanno, l'austera Europa ha recentemente rivalutato i rispettivi Pil nazionali, includendo nel loro computo alcune attività non propriamente commendevoli, quali ad esempio la prostituzione ed il traffico di droga.

Giunti i risultati da Eurostat, a Bruxelles hanno preso a far di conto. E cosa è venuto fuori? E' emerso che, in base ai nuovi Pil, occorre una diversa distribuzione delle varie quote nazionali al budget comunitario. Ad esempio, l'Italia dovrà pagare una maggiorazione di 340 milioni di euro, l'Olanda di 642, la Gran Bretagna di 2,125 miliardi. Al contrario, la Francia incasserà un miliardo e 16 milioni, la Germania 779 milioni, la Danimarca 321 milioni.

Cifre non grandissime, ma in grado di scatenare la classica rissa delle comari sul ballatoio. Una sorta di discussione condominiale su chi deve pagare la luce delle scale, nella quale i creditori non hanno mostrato alcuna intenzione di chiudere un occhio,  mentre i principali debitori si sono messi subito a gridare. Ora, dopo pochi giorni, l'Olanda sembra pronta a pagare. Non così la Gran Bretagna, con un governo Cameron sempre più in difficoltà.

Anche questo episodio, di per sé certamente minore, attesta lo stato comatoso dell'Unione. Così come nella realizzazione degli stress test bancari, così come nell'applicazione delle regole di bilancio, viene fuori un'Europa sempre più in crisi ed in fase di decomposizione. 

Non riusciamo proprio a capire come sia ancora possibile fare finta di ignorare questa realtà. L'Europa non «cambiaverso» e,  soprattutto, l'Unione non è in alcun modo riformabile.   

martedì 28 ottobre 2014

LA FINANZIARIA DI RENZI-PADOAN SPIEGATA ALLA NONNA di Leonardo Mazzei

28 ottobre. 
«Se resti nell'euro, se non riconquisti la sovranità monetaria, non puoi fare una vera ed efficace politica di deficit spending. Non si scappa: ci vuole la sovranità monetaria. La questione dell'euro è dunque la questione centrale. L'uscita non risolverà tutto, ma è una misura assolutamente necessaria».

Questo ha tra l'altro affermato Leonardo Mazzei alla manifestazione nei pressi della casa di Mario Draghi [nella foto la partenza del corteo]. 

Mazzei spiega perché, malgrado sia una Finanziaria neoliberista e recessiva, essa suscita le resistenze degli oligarchi europei e della Merkel. Il governo italiano e la Commissione europea, alla fine, troveranno un compromesso, guadagneranno solo tempo. Lo scontro sui trattati e sul Fiscal compact e sul destino della Ue è solo rimandato. 

Ringraziamo per le riprse gli amici delle "Brigate sovraniste".

STRESS TEST, BANCOCRAZIA, FINANZA PREDATORIA

28 ottobre.
Sabato scorso eravamo sotto casa di Draghi, a protestare contro la Bce e la sua politica monetaria, concausa decisiva delle politiche austeritarie e antipopolari. Avessimo avuto i risultati degli stress test avremmo avuto una ragione in più per gridare la nostra indignazione. 

Pubblichiamo qui sotto l'analisi di Morya Longo e Fabio Pavesi* sugli "stress test", che mette bene in mostra come i criteri con cui questi sono stati compiuti sono sostanzialmente arbitrari, per non dire truccati, ovvero a favore delle banche che hanno in pancia più titoli tossici e che fanno trading coi derivati. Il tutto a favore, anzitutto delle banche tedesche, inglesi e francesi, ed a danno di quelle italiane. Ciò con l'assenso della Banca centrale europea.
Analisi vera, quella di Longo e Pavesi, ma allo stesso viziata da un patriottismo zoppo —in linea con la linea della Confindustria che per proteggere la finanziaria renziana ora scopre improvvisamente che le regole europee sono fallaci. 
E' vero (vedi tabella più sotto) che le banche italiane hanno meno titoli tossici e fanno meno speculazione coi derivati. Ma esse sono gravate non solo da un quantità molto più grande di sofferenze (cresciute del 40%, toccano i 135 miliardi), ma pure dal peso preponderante di titoli pubblici italiani —che i "mercati" considerano, dato l'alto debito italiano e il connesso rischio di default, ad alto rischio. Ecco spiegato il crollo di Piazza Affari di ieri. 
Chiediamo a Longo e Pavesi: non è forse SPECULAZIONE FINANZIARIA prendere moneta sonante dalla Bce a tassi irrisori per poi acquistare titoli di stato italiani con interessi doppi o tripli? Non è forse lucrando sul debito pubblico che le banche italiane hanno sanato i loro bilanci?


Il paradosso del test
Negli istituti italiani i crediti pesano il 56,3% dell'attivo, in quelli tedeschi solo il 30,5%
PENALIZZATO IL CREDITO ALL'ECONOMIA REALE
di Morya Longo e Fabio Pavesi*

«Gli stress test della Bce raggiungono un risultato quasi paradossale: se da un lato sono stati eseguiti per rafforzare le banche in modo da permettere loro di tornare a erogare credito, dall'altro penalizzano proprio quelle che più si sforzano di sostenere le imprese.


I parametri su cui sono stati tarati gli stress test, a giudicare dai risultati, sembrano battere più duro sull'economia reale che sulla finanza. Se l'Italia esce sconfitta rispetto ad altri Paesi, è anche (non solo, ovvio) per questo: le nostre banche hanno la "colpa" di essere troppo esposte su un'economia reale che si deteriora. Se Paesi come la Germania escono vittoriosi, invece, è per il motivo opposto: l'economia è ben più forte di quella italiana – il che costituisce un indubbio vantaggio –, ma soprattutto le grandi banche tedesche sono poco esposte sull'economia reale e molto più sui mercati finanziari.

I risultati comunicati dalla Bce domenica, infatti, sono in parte influenzati dalla scelta e dal peso dei parametri. Quando la Bce e l'Eba hanno immaginato lo scenario avverso su cui testare la sopportazione dei bilanci bancari, hanno ipotizzato un marcato calo del Pil (-6,1% per l'Italia nel triennio 2014-2016, -7,6% per la Germania e -6% per la Francia), un aumento della disoccupazione, un drastico calo dei prezzi degli immobili, una riduzione dell'inflazione. Questo ha avuto un impatto negativo, negli stress test, sul portafoglio crediti delle banche. Gli "esami sotto sforzo" hanno certamente tenuto in conto anche parametri finanziari, ma su questo fronte lo "stress" è stato minore: anche nello scenario avverso, infatti, le banche europee sul fronte della finanza avrebbero addirittura ben 6 miliardi di ricavi.

Questo, inevitabilmente, ha condizionato i risultati finali. Perché le banche di certi paesi sono più sbilanciate sull'economia reale e quelle di altri Stati più sui mercati. Secondo i dati di R&S Mediobanca, relativi ai bilanci 2013, le banche italiane, spagnole e dei Paesi bassi sono le più impegnate a sostenere l'economia reale: i crediti verso la clientela sono pari al 56,3% del totale attivo per le principali banche italiane, al 58,4% per le spagnole e al 58,2% per le olandesi. Per intenderci: per ogni 100 euro impiegato dalle italiane, nonostante il credit crunch degli ultimi anni, 56 sono stati utilizzati per erogare credito a famiglie e imprese. Ovvio che se si ipotizza una nuova pesante recessione, dopo quella già vissuta, queste sono le banche che soffrono di più: sicuramente più delle tedesche (che hanno crediti alla clientela pari al 30,5% dell'attivo), delle francesi (36,1%) o delle inglesi (44,4%).

Peccato che le banche tedesche e francesi siano piene zeppe di derivati: le big in Germania ne hanno per il 26,7% del totale attivo e quelle francesi per il 15,5%, mentre le italiane si fermano al 6,6%. Peccato che la maggior parte di questi derivati (l'89,9% in Germania) sia utilizzata per fare "trading" e non per fini di copertura dei rischi. Peccato, inoltre, che le banche tedesche e francesi siano ancora piene di titoli "tossici", quelli impossibili da valutare perché non hanno alcun valore di mercato: ammontano al 48% del patrimonio netto tangibile in Germania e al 27% in Francia, contro il 16,7% in Italia. Tutta questa finanza nei bilanci cambia in maniera sensibile il totale degli «attivi ponderati per i rischi» (Rwa), cioè il parametro chiave su cui si calcola il fabbisogno di capitale: le banche tedesche riescono a ridurli artificialmente più delle italiane perché la finanza pesa meno dell'economia reale nei bilanci (non solo negli stress test). Dunque riescono ad avere un livello di solidità patrimoniale più elevato.

E la differenza si vede bene guardando le singole banche. Le tedesche (Landesbank comprese) hanno tutte superato gli esami. Anche la traballante Commerzbank, la seconda banca tedesca che per stare in piedi ha dovuto chiedere pesantemente aiuto allo Stato tedesco e ha fatto un aumento di capitale a maggio. I crediti sono meno della metà dell'attivo di bilancio. Il resto è trading finanziario. È poco più piccola come totale di bilancio di Intesa Sanpaolo ma le bastano poco più di 25 miliardi di capitale per superare gli stress test, quando Intesa aveva a fine 2013 capitale netto tangibile per 37 miliardi. Il colosso francese Societé Générale ha un bilancio doppio (1.141 miliardi) di Intesa Sanpaolo, ma ha prestiti all'economia per solo il 29% del bilancio contro il 52% di Intesa. Il resto – circa 800 miliardi – sono attività finanziare: titoli, derivati e quanto altro. SocGen si è presentata agli esami (superati) con soli 37 miliardi di capitale primario.

Intesa che paga l'esposizione doppia all'economia reale, pur avendo un bilancio che è la metà della francese ha bisogno degli stessi livelli di patrimonio per superare gli esami sotto sforzo. E che dire delle banche inglesi che pur sono fuori dall'euro? Tutte promosse, anche quella Royal Bank of Scotland che ha costretto il Governo britannico alla sua nazionalizzazione pena il default. La banca inglese (che ha cumulato perdite per 45 miliardi di sterline dal crac Lehman) stava in piedi con solo 56 miliardi di euro di capitale netto tangibile (dati R&S Mediobanca di fine 2013) su un attivo totale di bilancio che vale 1.232 miliardi. Siamo a poco più del 4% di capitale a garanzia della solidità finanziaria della banca che più ha patito la crisi.
Qual è il punto di forza della banca? Ha crediti per soli 530 miliardi, poco più di UniCredit che ha un bilancio totale più piccolo di oltre il 30%. E che deve supplire alla sua esposizione a famiglie e imprese dovendo mettere in cascina (in proporzione) molto più capitale della banca inglese».


Fonte: Il Sole 24 Ore del 28 ottobre 2014

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