mercoledì 17 agosto 2016

IL SOCIALISMO È ANCORA POSSIBILE?

[ 17 agosto ]

No, il socialismo prima ancora che impossibile, sarebbe una sciagura, come hanno dimostrato tutti i tentativi messi in atto nel '900. Questo ci dicono i dominanti, con lo sciame di pennivendoli al loro servizio. Il socialismo? Un nobile ideale, ma utopistico, e perseguirlo conduce giocoforza verso il totalitarismo e ad uno stato-caserma. 
E se le cose stessero in modo diverso?
Questo prova a fare il documento che presentiamo ai lettori. Esso è stato approvato dal tavolo di lavoro "L'Italia che vogliamo", il 13 dicembre 2015, in occasione del Seminario nazionale che ha dato vita al processo costituente di Programma 101.

Il capitalismo non funziona

Il sistema capitalistico —grazie allo sfruttamento senza precedenti delle capacità produttive e creative del lavoro, all’uso sistematico delle risorse naturali, ed all’applicazione su larga scala delle nuove scoperte tecnico-scientifiche— ha prodotto progressi economici, sociali e civili senza precedenti.

Questo sistema non ha solo conservato le diseguaglianze e gli antagonismi tra le classi sociali, è segnato da una menomazione congenita: i beni vengono prodotti come merci, cioè come cose finalizzate a soddisfare la brama di profitto della esigua minoranza dei detentori di capitale, le esigenze della società nel suo insieme essendo solo un pretesto.
Mossi da questa brama i capitali, in accanita concorrenza fra loro sono costretti, ognuno per non soccombere, ad investimenti crescenti ed a sfornare merci senza limiti, a tal punto che, esssendosene prodotte troppe, esse non possono essere vendute a prezzi che consegnino il profitto atteso. Il valore economico dei capitali crolla, con la conseguenza che molte imprese chiudono i battenti, interi paesi sprofondano nel marasma, masse enormi di lavoratori gettati sul lastrico e dunque costretti ad accettare condizioni di vita miserabili. È la crisi generale, come quella il sistema conosce oggigiorno.
Ogni crisi generale accentua diseguaglianze e conflitti sociali, causa il collasso della democrazia e la nascita di regimi di tirannia, accresce la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi grandi gruppi monopolistici, accentua i contrasti tra le diverse potenze.
I fiumi di sangue e le immani distruzioni delle due guerre mondiali sono la prova provata che il sistema capitalistico è una minaccia per l’intera umanità e la vita stessa sulla terra. L’iper-finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione e la concentrazione della ricchezza nelle mani di poche centinaia di multinazionali, aggravano e non attenuano i conflitti all’interno delle nazioni e fra le nazioni. Un crollo generale dalle conseguenze catastrofiche è probabile. Un’alternativa di società è necessaria. Noi la chiamiamo Socialismo.

Cos’e il Socialismo?

Esso può essere racchiuso in una proposizione: “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
È l’idea di una società in cui il lavoro non sia una condanna alla schiavitù per valorizzare il capitale ma un’attività necessaria per vivere tutti meglio; in cui si produca e si consumi quanto basta per condurre una vita dignitosa; dove l’eguaglianza formale nella sfera politica sia sostanziale; in cui forze produttive e scienza siano orientate ad assicurare il bene comune e non i privilegi di pochi.
Quest’idea, per cui masse sterminate di uomini e donne hanno combattuto segnando nel profondo la storia, è considerata dalle classi dominanti, che hanno il monopolio dei mezzi d’informazione, come un’utopia. È invece un’idea ragionevole quella per cui i settori strategici di produzione e di scambio, oggi monopolio di una minoranza assetata di profitto, diventino proprietà pubblica e vengano amministrati e gestiti dai lavoratori associati, siano essi manuali che intellettuali.
Già oggi i grandi capitalisti, quelli che mettono il capitale, poco o niente sanno dei reali processi produttivi delle loro aziende, e nulla potrebbero senza l’ausilio del personale tecnico e amministrativo dirigente. Grazie all’enorme progresso delle tecnologie sarebbe ben possibile lavorare tutti meno e meglio. I dominanti invece fanno il contrario: usano questo progresso per ridurre i dipendenti, sfruttandoli di più e condannando masse sempre più ampie alla precarizzazione ed alla disoccupazione perpetua.
La società dev’essere concepita come una totalità organica, i diversi settori sono arti dell’unico corpo sociale, di qui la necessità che l’economia sia sottratta alle cieche leggi di mercato, con un’allocazione efficiente e giusta delle risorse, dei beni, quindi razionalmente organizzata, finalizzata a soddisfare i plurimi bisogni del genere umano, il tutto nel pieno rispetto di Madre Natura.
Alla concezione feticistica che la ricchezza consiste nell’ammucchiare denaro —che inevitabilmente implica la lotta egoistica di una minoranza a spese della maggioranza per possederne sempre di più— noi opponiamo quella per cui una società è tanto più ricca quanto più riesce ad assicurare ai cittadini una vita buona, soddisfando i loro variopinti bisogni, materiali e spirituali.

Il fallimento dei primi tentativi di passare al Socialismo

Nel secolo scorso, dopo quello russo, diversi popoli, sotto la guida di potenti partiti comunisti, si sono incamminati sulla via del socialismo. Quei tentativi, dopo enormi successi iniziali, si sono conclusi in un fallimento. Ciò non è dipeso solo dalle difficoltà legate ad ogni grande processo di trasformazione sociale, ma da alcuni errori basilari insiti nella stessa teoria politica dei comunisti, cinque spiccano sugli altri.
(1) I comunisti erano convinti che la classe proletaria possedesse un’intrinseca e spontanea vocazione rivoluzionaria, quindi la capacità di guidare il passaggio al socialismo. Questa vocazione non è invece innata, che essa si manifesti dipende dalle mutevoli condizioni storiche e sociali. Anche per il proletariato vale che davanti alle difficoltà la spinta al cambiamento si può rovesciare nel suo opposto.
(2) I comunisti erano convinti che la statizzazione integrale dei mezzi di produzione sarebbe sfociata necessariamente nella completa socializzazione e autogestione. Si è verificato invece che il potere è finito presto nelle mani di un ceto dirigente professionale che lo ha utilizzato per imporre la propria supremazia politica e sociale e difendere i suoi privilegi.
(3) I comunisti erano convinti che la pianificazione economica avrebbe non solo evitato gli squilibri tra settori economici ma, ipso facto, soppresso l’economia mercantile, producendo una crescente eguaglianza sostanziale e abolito ogni forma di oppressione e di antagonismo sociale. Abbiamo visto invece che la pianificazione può creare nuovi squilibri sociali, convivere con la produzione mercantile, causare non solo spreco e distruzione di risorse naturali e sociali, diventando un freno allo sviluppo sociale ed economico.
(4) I comunisti erano convinti che il “regime proletario” oltre che di breve durata avrebbe soppresso la stessa democrazia (“borghese”) lasciando il posto ad un regime libertario integrale e senza Stato. Invece di questa chimera esso si è pietrificato ben presto in un regime dispotico e antidemocratico.
(5) I comunisti erano convinti che una volta mutata la struttura economica della società le sovrastrutture, i modi di vita e la sfera spirituale si sarebbero adeguate pressoché automaticamente. Costumi, idee, visioni del mondo, date le loro profonde radici, hanno dimostrato invece una capacità di resistenza formidabile.

Il Socialismo che immaginiamo

Chiamiamo socialismo il sistema che si organizza e si struttura affinché gli uomini possano ridurre al minimo la durata del tempo di lavoro, accrescendo invece quello libero, affinché, al di là del riposo, egli possa dedicare questo suo tempo, una volta soddisfatti i bisogni primari, a realizzare quelli immateriali, a nutrire il suo spirito, estrinsecando le sue molteplici facoltà ed attitudini, dedicandosi infine alla cura delle faccende politiche e comunitarie.
Affinché ciò possa accadere sono necessarie tre condizioni: il massimo sviluppo delle forze produttive materiali e spirituali, ovvero il più alto grado d’automazione e informatizzazione dei processi lavorativi e della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica; una nuova e qualitativa gerarchia dei bisogni, quindi nuove concezioni di sviluppo e di benessere, opposte a quelle oggi imperanti, consumistiche e feticistiche; e infine uno Stato che sia effettiva espressione della sovranità popolare.
Grazie a ciò sarà davvero possibile ottenere da ciascuno secondo le sue possibilità, e dare ad ognuno secondo i suoi bisogni, abolendo quindi non solo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma ogni forma di oppressione politica e di saccheggio delle risorse naturali.
Questo socialismo implica la proprietà pubblica dei principali settori strategici dell’economia (non quindi non l’abolizione della proprietà privata tout court) ed uno Stato che funga da sentinella del nuovo ordinamento sociale e democratico e che assicuri a tutti i cittadini non solo l’esercizio dei diritti di libertà, ma pure la fruizione di quelli al lavoro, all’istruzione, alle cure sanitarie, nonché quello ad un reddito di base universale. Non basta l’eguaglianza sul piano economico. La libertà di pensiero, di parola, di associazione politica, di stampa, di fede religiosa sono principi inalienabili della persona. Eguaglianza sociale e libertà individuali e collettive sono indissolubili.
Il socialismo che auspichiamo, contrariamente a quanto hanno utopisticamente immaginato i primi socialisti, Marx compreso, lungi dal fare sparire la democrazia la estenderà, permarrà dunque l’organizzazione statuale, come necessaria espressione politica e amministrativa della comunità.
Non si giungerà al socialismo con pochi assalti frontali. L’esperienza ci consegna numerose evidenze che esso sarà invece frutto di un lungo e difficile processo fatto di trasformazioni, successive, grandi e piccole. L’economia capitalistica non può essere abolita per decreto, così come non potranno essere soppresse dal giorno alla notte le forze mercantili. Con queste si dovrà convivere a lungo.  Per tutto un periodo, che nessuno può stabilire in anticipo, avremo quindi un’economia mista, pluralista.  Settori e forme capitalistiche coabiteranno con quelli nazionalizzati, con quelli dei beni comuni, cooperativi, nonché quelli socialisti nascenti, che cioè produrranno e si scambieranno i beni non per ricavare un profitto ma come beni diretti a soddisfare i bisogni della comunità, privandoli così della loro forma merce.
La politica avrà il posto di comando e lo Stato, grazie alla nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia e del sistema bancario, sarà non solo regolatore ma attore economico primario. L’emissione monetaria sarà monopolio dello stato, che dovrà tendere progressivamente ad impedire che la moneta, nella forma di denaro, sia tesaurizzabile come capitale privato. Il sistema fiscale sarà progressivo, finalizzato a sostenere i comparti quali la scuola, lo sviluppo scientifico, la sanità, la tutela ambientale, il patrimonio artistico e culturale, e tutti quei cittadini inadatti al lavoro.
La pianificazione economica dovrà procedere per gradi. Pur riguardando direttamente solo i settori nazionalizzati, dei beni comuni e dei servizi, essa dovrà tendere dunque ad armonizzare e sincronizzare i diversi settori economici evitando tra essi una competizione selvaggia, tendendo al massimo equilibrio e al minimo spreco di risorse e lavoro.
Affinché programmazione e pianificazione diano il massimo dei frutti, si farà affidamento ad un articolato sistema di consultazione che dal basso salga verso l’alto, mettendo in rete le informazioni e le istanze dei cittadini, organizzati in comitati di base, sia di produttori che di consumatori. Le forme di produzione e di scambio privatistiche potranno essere vinte solo se saranno superate, solo cioè se le nuove modalità nazionalizzate e socializzate di produzione e di scambio si riveleranno al contempo più efficaci e meno divoratrici di risorse naturali ed umane.
Lo Stato di diritto sarà esteso ed assicurata la divisione tra i poteri dello Stato, con l’eleggibilità di tutte le principali cariche pubbliche, di cui quello supremo è l’Assemblea legislativa, i cui membri, eletti a suffragio universale, saranno revocabili ed eletti con sistema proporzionale. Nella sfera dei mezzi di comunicazione dovrà essere assicurata la massima pluralità.
Con la conquista del potere da parte delle masse lavoratrici inizierà una lunga “guerra di posizione”, la società sarà un campo di battaglia in cui la posta in palio sarà il futuro stesso della comunità nazionale.
Nessuna vittoria è irreversibile. Il popolo lavoratore, una volta strappato il potere, potrà mantenerlo se saprà assicurarsi, assieme al sostegno della più ampia maggioranza dei cittadini della nazione, l’amicizia e la solidarietà dei popoli di altri paesi.
Difendiamo quindi, dagli assalti dei suoi numerosi nemici, la Costituzione repubblicana del 1948 la quale, raccogliendo l’eredità delle secolari lotte democratiche contro ogni forma di tirannia politica e quelle delle classi lavoratrici per la loro definitiva liberazione sociale, rappresenta per noi, al contempo, un punto d’appoggio ed una bussola per trasformare la società.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Il manifesto di cui sopra, apparentemente irreprensibile, se letto con attenzione presenta alcune importanti contraddizioni.
Da un lato, auspica una via al socialismo in cui non ci sia dittatura, in cui vengano rispettati i diritti umani, in cui addirittura ci sia spazio per la proprietà di piccole dimensioni, almeno in principio. Dall'altro, sostiene invece che lo Stato dovrà essere il protagonista politico ed economico di questa nuova società. Insomma non si capisce bene se siate dei libertari o degli autoritari.
Nella storia del movimento operaio ci sono state due fratture originarie, rispetto alle quali la vostra analisi semplicemente rinuncia ad esprimersi: i legalisti e gli illegalisti; i comunisti autoritari e i comunisti anarchici. In un periodo storico, quello della revisione socialdemocratica, le due fratture coincidevano sulla stessa linea: i socialisti erano tutti legalisti gli anarchici tutti illegalisti. Dopo la rivoluzione russa invece nacque una frazione del mondo socialista, quella marxista leninista che ha cercato per 70 anni di fare la rivoluzione con le armi.
In questo manifesto, elencate 5 punti, ma in nessuno di questi punti vi schierate o cercate di superare le due dicotomie fondamentali.
1) siete legalisti o illegalisti? cosa significa "sollevazione", il nome di questo blog? significa insurrezione, rivolta violenta, pre-rivoluzionaria contro lo Stato, o significa sollevazione morale, ribellione contro le elites attraverso - che so? - un successo elettorale ad un Chavez, uno Tsipras, un De Magistris (non scendo più in basso, ma la lista può continuare)?
2) siete liberati o autoritari? siete per la dittatura o per l'abolizione dello Stato. perché l'idea di un socialismo umano, ma statale, nazionale ma amico dei popoli, è una scorreggia teorica. le classi dominanti non staranno a guardare, contro un tentativo rivoluzionario vero in un paese del g8, faranno di tutto, golpe, corruzione, anche la bomba atomica. allora, dicono gli autoritari, serve uno Stato forte. che reprima i traditori, anche col terrore. oppure, dicono i libertari, serve una rivoluzione internazionale, che liquidi subito ogni forma di potere politico.
L'ipotesi che l'Italia esca dall'euro, nazionalizzi i principali nuclei produttivi e le banche, e se ne stia in buona pace col lusso di potersi permettere i diritti civili in una nazione accerchiata è una utopia.
Non c'è l'ha fatta Berlinguer, non ce la farò nemmeno Mazzei

Unknown ha detto...

Tralasciando per un attimo l esame storico delle teorie comuniste vorrei sapere cortesemente le considerazioni dell anonimo sull attuale contesto sociale,perché detto in tutta franchezza mi pare che questo genere di critiche partano da una decontestualizzazione come presupposto che più che dare un reale contributo critico non fanno altro che ossificare i discorsi,un qualcosa che oggi dovremmo arginare e non incentivare.

SOLLEVAZIONE ha detto...

caro Anonimo,

non siamo né legalisti né illegalisti, né libertari né autoritari.
Restare nella legalità (cioè rispettare rigorosamente le regole del gioco fissate dalla legge, ovvero dai dominanti) non dipende solo da chi vuole cambiare l'ordine di cose esistenti, ma pure da chi quell'ordine vuole conservare ad ogni costo. Ti ricordiamoo che sempre, ad ogni latitudine, le classi dominanti, davanti alla minaccia di essere spodestate, hanno bellamente violato la loro stessa legalità.
Ergo: i rivoluzionari sono certo dei libertari, ma cose essi dovrebbero fare, se conto lei, se i dominanti, una volta cacciati dal potere, organizzassero sabotaggi e istigassero alle guerra civile? Dovrebbero forse togliere il disturbo invece di adottare le misure che ogni o governo legittimo assumerebbe in uno "stato d'eccezione"?

E infatti tu stesso dici che "scoreggiamo" se pensiamo che i potenti staranno a guardare.

Sai che c'è?

Sarà una "scoreggia" che li seppellirà!

Anonimo ha detto...

Karl Melvin chiede le mie considerazioni sull'attuale contesto sociale.
E' lunga in un commento in un post, ma cercherò di non eludere la sua domanda. Io credo che, a partire dall'ultimo decennio del secolo scorso, come teorizzò ad esempio Bonanno, vi sia una nuova forma di lotta di classe, basata sulla dicotomia fra inclusi ed esclusi. In questo sono molto vicino allo spirito di questo blog e al suo odio verso le elites. Tale esclusione è certamente fisica, le rivolte nei ghetti americani, la pressione migratoria, gli assalti ai muri, la ghettizzazione geografica di intere aree (Gaza un esempio su tutti). Ma c'è anche una esclusione diversa, più profonda. E' l'esclusione scientifica.. Nessuno di noi sa davvero come funziona internet, di cui un questo momento facciamo uso, nessuno di noi sa come funzione una centrale nucleare, nessuno di noi sa come pilotare i moderni armamenti bellici; se qualcuno di noi conosce l'economia è per passione rivoluzionaria, ma la totalità del proletariato e persino la quasi totalità della borghesia ne sa ben poco. La creazione di un super-Stato europeo è in questo processo oggettivo di esclusione di massa di centinaia di milioni di cittadini: conteranno sempre meno i parlamenti, i sindacati, la lotta economica e rivendicativa, conteranno sempre meno le stesse illusioni di poter cambiare qualcosa col voto. In altre parole ci sarà una nuova classe di sciamani, stregoni dell'atomo, dell'economia, del web che terrà per le palle il resto dell'umanità ridotta ad una nuova forma di primitività, sotto le bombe di Putin o di Obama, che non sa nemmeno come vengono fabbricate o come possono essere utilizzate. La difesa della precedente democrazia, della costituzione, è come difendere l'impero romano dai barbari o il feudalismo dalla rivoluzione industriale. Quel mondo è morto, la tendenza alla guerra impone ai governi una agibilità diversa, che il parlamentarismo frena. Anche perché l'esecutivo è il solo luogo, dal loto punto di vista, dove gli stregoni del terzo millennio sapranno governare la crisi, avranno materialmente le sottosegreterie, i dicasteri, i tavoli tecnici in grado di decidere nella nuova società. Che cazzo ne sa una commissione parlamentare, magari fatta democraticamente di operai, dell'emergenza di fronte ad un attacco nucleare di una potenza nemica?
Di fronte a tale processo c'è qualcosa che verrà a cadere nella vecchia ideologia socialista, in tutte le sue varianti, anarchiche o comuniste. Forse anche questo un punto dimenticato, il più importante, fra i cinque punti elencati dal vostro manifesto. Verrà a cadere l'utopia dell'esproprio totale. Ci sono cose che gli esclusi non sapranno mai governare: ci sono conoscenze che non potranno essere collettivizzate. Questi strumenti andranno semplicemente distrutti. La lotta per l'esproprio non vincerà mai la sua guerra per l'esproprio delle moderne conoscenze scientifiche. Va quindi fatta una guerra diversa, una guerra per la distruzione, non per la collettivizzazione. Per questo si parla di "insurrezionalismo" quando si pensa a questa area del movimento rivoluzionario.
La nostra lotta lotta dovrà quindi essere una lotta per alimentare le contraddizioni. Un PROGETTO rivoluzionario, ma non delle PROPOSTE. Non c'è nulla da proporre.Ma ci sono miliardi di proletarizzati che esprimeranno con violenza il proprio "disagio".
Con una progetto, cioè con una bussola, si potrà uscire dalla tempesta. Questo progetto si fonda sulla solidarietà internazionalista, sull'odio verso i nuovi super-Stati senza la nostalgia verso i vecchi stati nazionali. Insomma costruire l'opposizione sociale dei prossimi decenni. La super-Potenza di cui si parlava impropriamente del movimento per la pace del 2003: un movimento rivoluzionario internazionalista.
Insomma la mia lettura è pressoché identica a quella del blog, ma con risultati opposti: bisogna rifare l'internazionale, non i fronti popolari.

SOLLEVAZIONE ha detto...

caro Anonimo,

mi pare che siamo animati dal medesimo spirito rivoluzionario.
Confesso che in questa oceano di merda alcuni di noi hanno anche un debole per il cosiddetto "nichilismo"...
Non è poca roba di questi tempi, è tanta roba questa.
Tuttavia, per fare e soprattutto vincere il nemico (rivoluzione) occorrono una strategia politica, tattiche efficaci, una organizzazione forte.
Qui le nostre strade si dividono subito.
Chissà, forse si ricongiungeranno un giorno lontano, se non saremo già tutti morti...
Ci pare superfluo dilungarci su: le differenze, enormi, sono immaginabili. Una però la vogliamo sottolineare di primo acchito: non si vince senza le masse, senza egemonia, e senza alleanze. Senza masse, senza alleanze, le minoranze radicali, se compiono fughe in avanti —ovvero se vanno all'attacco isolate— sono votate al martirio eroico... o al pentimento di massa (in Italia ne sappiamo qualcosa). Quindi non solo strategia, ma tattiche indirizzate a realizzarla.
E tanto per fare l'en plein siamo distantissimi sul piano, come dire, della filosofia della storia

Il nostro faticoso esodo dal marxismo incartapecorito e dogmatico, sia esso di marca hegeliana o neopositivista o strutturalista, non ci ha ha condotto all'approdo anarchico —che è un'altra forma di pernicioso dogmatismo dottrinario—nemmeno a quello post-modernamente declinato a cui alludi.

Avresti potuto, visto quel che scrivi, chiederci se siamo "distruzionisti" o "costruttivisti".
Risposta, che suppongo già sai: non c'à alcuna possibilità di costruire una società nuova se non distruggendo le basi di quella vecchia. In questo senso la rivoluzione, se non è una pantomima, è in primo luogo distruzione dell'ordine di cose esistente.
Distruggere per costruire! In barba alle anime belle che vorrebbero fare la frittata senza rompere le uova.
E' la dialettica bellezza!

Ma sospettiamo che queste differenze politiche hanno origini più profonde, origine filosofiche.
Tu scrivi: «La difesa della precedente democrazia, della costituzione, è come difendere l'impero romano dai barbari o il feudalismo dalla rivoluzione industriale. Quel mondo è morto...»
Qui c'è il marchio di fabbrica della filosofia della storia hegeliana, per cui la storia sarebbe "storia naturale", per cui l'umanità va sempre avanti, ed i processi sociali, come in natura sono irreversibili.
Sbagliato! Sbagliato!

Last not not least...

Se la mettiamo sul piano della conoscenza, ovvero della ignoranza scientifica delle masse popolari, beh, non è che prima dell'avvento dell'informatica era molto diverso. Pensi forse che i contadini sapessero la composizione chimica dei fertilizzanti? O che gli operai di Mirafiori sapessero un'acca della gestione di una Holding multinazionale come la FIAT? O che gli impiegati delle compagnie petrolifere conoscessero la diavoleria della polimerizzazione del petrolio? O che i dipendenti della banca d'Italia sapessero la differenza tra Gold Standard moneta fiat?

Unknown ha detto...

Ti ringrazio per la risposta

Brenno ha detto...

Rivoluzione e violenza
ecco cosa scriveva H. Marcuse

" Con rivoluzione io intendo l'abbattimento di un ordine costituito e di un governo legalmente stabiliti per opera di un movimento o di una classe sociale, il cui fine sia quello di cambiare tanto la struttura sociale che quella politica.
Questa definizione esclude tutti i colpi di stato militari, tutte le rivoluzioni di palazzo e le controrivoluzioni preventive (come il fascismo e il nazionalsocialismo)), perché non cambiano la struttura sociale di base.
Definita in tal modo la rivoluzione, possiamo fare un passo innanzi ed affermare che un cambiamento così radicale e qualitativo implica la violenza".
da: Erica e rivoluzione, 1964

Brenno

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