giovedì 30 novembre 2017

GRECIA: TSIPRAS HA UCCISO POPOLO E NAZIONE di Dimitrios Mitropoulos

[ 30 novembre 2017 ]

«I nostri slogan sono: Pace e solidarietà tra i popoli; Sovranità popolare ed indipendenza nazionale; un diverso modello economico, crescita per i popoli e non per le banche»

Nella foto la testa del contingente di Laïki Enótita (Unità Popolare) in occasione dello sciopero generale del 12 novembre 2015. Si vedono Lafazanis e Zoe Kostantopoulou

Mitropoulos, del Dipartimento esteri di Unità Popolare, ricostruisce la drammatica vicenda del collasso della Grecia, segnalando anzitutto le tappe più recenti, a partire dalla capitolazione di Tsipras, che ha ferito a morte un popolo che fino all'ultimo ha invece cercato di combattere e resistere.
*  *  *

«Per capire il problema dell’odissea greca e quello del default della Grecia, si dovrebbe andare indietro fino al 1981. L’adesione del paese alla CEE è stata accompagnata da una graduale deindustrializzazione, attraverso la demolizione di specifici settori industriali, quelli con un baso grado di competitività e produttività, nonché dalla distruzione dell’economia agricola.

L’industrializzazione, i diversi oneri e le limitazioni allo sviluppo del comparto industriale insieme alla distruzione della piccola manifattura e del settore agricolo, hanno trasformato il ruolo e le caratteristiche dell’economia greca orientandola verso i servizi e le importazioni. Allo stesso tempo hanno avuto importanti ripercussioni economiche, soprattutto debiti e prestiti per colmarli. L’ammissione della Grecia all’Unione Monetaria ed all’euro nel 2002, hanno reso più profondi ed accelerato i processi descritti sopra. La crisi delle competitività, che è stata esacerbata dalla politica monetaria dell’unificazione, ha fatto aumentare il deficit commerciale, il cui finanziamento attraverso i prestiti, ha portato alla crisi del debito.

Ora è chiaro che, all’interno della cornice dell’Uem, le economie esistenti, le divergenze di produttività e le differenze tra gli stati membri sono aumentate invece di diminuire.

La crisi dell’Eurozona è il risultato del prototipo storico di unione senza stato o federazione, con una grande anisometria e divergenza tra gli stati membri.

Allo stesso tempo è il risultato di norme di competizione internazionale, in un contesto di globalizzazione, dovuto alla scarsa competitività in confronto ad altri paesi sviluppati o in via di sviluppo come la Cina.

Per farla breve, questo è il modo in cui siamo arrivati al default greco nel 2010, il sintomo più severo della crisi strutturale dell’Eurozona. Era chiaro in quel momento che un ufficiale default della Grecia nel 2010, avrebbe avuto conseguenze sia per l’Eurozona che per l’Unione europea nel suo complesso. In combinazione con la crisi del Sud (PIIGS), avrebbe creato un più ampio scompiglio al sistema internazionale. Il Memorandum d’intesa ed il prestito che lo accompagnava significava la sopravvivenza delle banche europee, soprattutto quelle tedesca e francese che erano le più esposte sul sistema finanziario greco. Allo stesso tempo, il Memorandum era il modo per iniziare un importante esperimento: il rovesciamento del contratto sciale post bellico tra capitale e lavoro in Europa, a cominciare dalla Grecia. Finalmente, il Memorandum spazzava via il pericolo di intossicazione della moneta comune, una conseguente potenziale caduta del suo valore sui mercati finanziari ed un crollo simultaneo della sua affidabilità. Il provvidenziale aiuto è stato però nei fatti un severo attacco neoliberista che ha cambiato profondamente i rapporti sociali, economici e politici degli ultimi 40 anni.



Quali sono, sette anni dopo, i risultati di questo programma ?

a) L’abolizione dei diritti del lavoro. Una vasta disoccupazione come testa d’ariete per estendere l’occupazione part-time e il crollo dei salari.

b) La svendita ed in qualche caso il vero e proprio “regalo” di beni pubblici, imprese redditizie, banche, terra ecc.

c) L’aumento della tassazione per gli strati popolari e per la classe media ed il loro impoverimento.

d) La distruzione di ciò che restava della sanità pubblica, dell’istruzione, della previdenza sociale e la drammatica contrazione della spesa pubblica e dello stato sociale.

e) La fine delle aspettative per le generazioni future e la loro migrazione verso paesi europei più sviluppati e potenti.

f) L’assenza di sovranità polare e di indipendenza nazionale, il trasferimento dei poteri agli istituti di credito ed alle istituzioni sovranazionali.

g) La trasformazione del paese in una colonia del debito per almeno mezzo secolo.

La dottrina del rimborso del debito ha dominato il programma greco:

a) Non è stato creato dalla gente ma da un interazione tra il sistema politico locale e le banche, l’elite greca, le multinazionali e le lobbies di Bruxelles.

b) Dal 2010, invece di diminuire è aumentato passando dal 115% del GDP al 180% come risultato dei programmi del FMI ed al fine di proteggere le banche tedesche, francesi ed americane che detenevano i titoli spazzatura.

E’ questa dottrina di protezione delle banche private contro uno stato ed il suo popolo che ha portato ad una recessione del 26%, paragonabile solo a quella degli effetti economici di una guerra. La recessione ha aumentato il debito pubblico dei cittadini e delle imprese medio-piccole. Nessuno è in grado di ripagare il debito. Le messe all’asta sono il mezzo per trasferire ricchezza, proprietà, case ed affari a fondi esteri e banche. Le piccole e medie proprietà che erano una forte presenza nell’economia della Grecia, sono state distrutte. Le case e le imprese sono passate in mano a fondi esteri e banche.

Allo stesso tempo la totalità delle proprietà statali sono state privatizzate, controllate dai creditori, per 99 anni. E’ un programma che trasformerà la Grecia in una colonia del debito per quasi un secolo. Qui sta la differenza tra il Memorandum greco e quelli irlandese o portoghese.

Abbiamo così vissuto cinque anni che hanno sconquassato la Grecia e che hanno polarizzato l’attenzione della sinistra e dell’intero pianeta verso questo piccolo angolo di mondo.

All’inizio c’è stata una reazione massiccia e multiforme che ha portato alla caduta del governo ed alla crisi del vecchio sistema politico.

In una seconda fase abbiamo assistito al declino dei movimenti di massa, Syriza diventata principale opposizione, lo strangolamento di Cipro che ha evidenziato il vero significato dell’eurozona e l’impossibilità di negoziazione nella sua cornice.

In una terza fase, che inizia nel gennaio 2015, Syriza forma un governo che ha come slogan il rovesciamento del Memorandum ed il negoziato. Dal 20 febbraio in avanti, dopo la firma di Varoufakis dell’accordo per l’estensione del programma del Memorandum, l’asfissia economica andava di pari passo con l’ambiguità politica e la decomposizione del movimento di massa e della sinistra —che hanno assunto caratteristiche ancor più profonde dopo il referendum estivo del 2015.



Tsipras ha deciso di indire il referendum per cercare di gettare la responsabilità sul popolo su ciò che sarebbe avvenuto. I creditori avevano già strangolato le banche attraverso la BCE e Tsipras pensava che il popolo, in seguito all’estorsione ed al panico dovuti ai controlli capestro, avrebbe votato Si o che comunque il No avrebbe ottenuto una vittoria marginale.

In questo modo avrebbe potuto più facilmente giustificare la firma di un terzo memorandum come una ritirata tollerata dal popolo.

Il referendum è stato anche il sintomo del cosìddetto
"vuoto nella storia”. La plebe e la maggioranza impoverita della società greca, unite in un confronto di classe e in un conflitto contro l’organizzato e unito nemico, internazionale e locale, ha ferventemente difeso i suoi interessi di classe. I rappresentanti di Nuova Democrazia (il partito tradizionale conservatore-neoliberale) minacciavano che ci sarebbe stata una reazione della borghesia, una sua discesa nelle strade per rispondere all’eventualità della sconfitta. Ogni giorno i mass media bombardavano i cittadini con le dichiarazioni di Schultz, Schäuble, Daisenbloom, Draghi, i sacerdoti dell’eurozona e dei loro sottoposti che ricattavano e minacciavano con lo spauracchio del disastro in caso di vittoria del No. La democratica Europa ha interferito apertamente negli affari interni del paese dopo averlo trasformato in un loro protettorato, sia politico che economico. Due giorni prima del referendum, Piazza Syntagma ad Atene era piena di migliaia di giovani, disoccupati, lavoratori impoveriti e strati della classe media. 

La gente era a favore del No, senza preoccuparsi del rischio o di ciò che sarebbe successo il giorno dopo. C’erano dinamismo e radicalizzazione. Domenica notte, quando la gente era per le strade per festeggiare il 62% raggiunto dal No, era chiaro a tutti che quel soggetto era capace, se chiamato all’azione, di qualsiasi cosa. Ma questa chiamata non c’è stata. Tsypras ha fatto appello all’Unità nazionale, rivolgendosi ai partiti del vecchio sistema politico, è andato a Bruxelles ed ha firmato il terzo memorandum. Nei fatti Tsypras non è mai cambiato. E’ semplicemente restato all’interno dei confini e dei limiti delle linee di base che aveva sostenuto fin dall’inizio: negoziazione all’interno dell’eurozona, la fine del memorandum ma all’interno del sistema Euro, la fine dell’austerity ma senza lo scontro con il neoliberismo ed il capitale. Dal giorno successivo al referendum, c’è stato un rovesciamento da quanto espresso dalla volontà popolare che ha scioccato i sostenitori del No perché:

1) Ha giustificato tutti i governi precedenti al 2010 e le loro politiche

2) Ha creato una profonda crisi di sfiducia e una grande delusione verso la sinistra (“siete tutti uguali)”

3) Ha rafforzato l’idea che non ci siano alternative

4) Ha presentato i nemici come imbattibili

Questo rovesciamento è stato usato preventivamente per piegare il popolo, la sinistra ed i movimenti in Europa, specialmente del sud. Il governo di Tsipras non era più fonte di preoccupazione per l’establishment internazionale e locale. Al contrario, sarà un esempio per la sinistra ed i movimenti sociali. Il TINA è diventata la loro bandiera.

Ci sono due lezioni fondamentali da apprendere dal caso della Grecia. La prima è che lo slogan dell’UE e dell’Euro è: “Le regole sono le regole”. E queste regole sono il tallone di ferro delle elite e delle banche. Chiunque provasse a cambiarle fallirebbe. Queste regole non sono modificabili e si inaspriranno se l’ ESM dovesse diventare il FMI europeo e se le politiche economiche nazionali verranno stabilite a Berlino o Bruxelles, come suggerito recentemente in un documento non ufficiale.


La seconda è che il popolo non può applicare un piano ed un programma di rottura e collisione contro la UE semplicemente esprimendosi mediante referendum, manifestazioni ed elezioni senza una guida ed una leadership, senza un soggetto politico appropriato e preparato ed un programma corrispondente. E’ possibile che i popoli facciano delle rivoluzioni ma hanno bisogno di un soggetto politico che li prepari.

Lo spudorato accordo, il terzo Memorandum di Tsipras, è stato approvato con iter accelerato il 15 Agosto 2015 da quasi tutti i partiti presenti in parlamento. 32 membri di Syriza e del governo hanno votato contro, inclusi tre ministri ed il presidente del parlamento —la maggioranza dei quali ha dato vita a Laiki Enotita, Unità Popolare.

Le elezioni anticipate dell’autunno 2015, hanno avuto luogo meno di un mese dopo, in base ad un piano concordato con i creditori, al fine di non permettere, da un lato, al popolo di sperimentare le severità del Memorandum di Tsipras, dall’altro per impedire ad Unità Popolare di svilupparsi, stabilirsi ed affermarsi tra le masse popolari.

Le nuove misure presenti nel Memorandum di Tsipras, aggravano austerità e recessione. Sono misure che avranno effetto sugli agricoltori, sugli strati medio-bassi, sui lavoratori ed i pensionati. Distruggendo:

1) Il sistema di protezione sociale mediante l’abolizione o il declassamento dei fondi dell’assicurazione sociale, un abbassamento della previdenza sociale e del settore della sanità nel suo complesso.

2) Il sistema pensionistico che prevede il pensionamento a 67 anni ed una pensione minima di €350

3) L’aumento della tassazione

4) Esso promuove la svendita delle proprietà pubbliche: privatizzazione di porti, aeroporti, distribuzione dell’elettricità e grandi spazi pubblici. Tsipras si è impegnato ad avanzi primari intorno al 2,5-3,5% fino al 2060, condizioni molto più dure di quelle imposte dal Trattato di Maastricht o di quelle del Patto di stabilità, al fine di trovare le risorse per rimborsare il debito.

Unità Popolare continua la sua battaglia, sul cammino di decisivi processi, con iniziative internazionali di coordinamento.

In questa direzione, il nostro duplice scopo sarà:

a) La ricostruzione della fiducia all’interno della società, l’organizzazione della resistenza, in primo luogo, trasformando lo spirito di disperazione in rabbia e lotta per affrontare le nuove offensive di creditori e la barbarie del governo di Tsipras.

b) La formazione di una corrente politica, locale ed internazionale, che costruisca ed offra un programma ed una generale alternativa all’austerità ed al neoliberismo per sfuggire alla stretta soffocante dell’eurozona, della UE e dei creditori.

Questo programma dovrebbe prevedere la cessazione dei pagamenti/soppressione del debito, l’uscita preparata e strutturata dalla eurozona e la rottura della cornice neoliberale della UE.

Queste sono le coordinate necessarie, poiché oggi l’austerità ed i memorandum sono implementati nel nome del debito e del rimanere a tutti i costi nell’euro, ma anche perché non esiste altra strada per costruire un’alternativa.

Questi obiettivi non esauriscono il contenuto del nostro programma ma costituiscono la cornice di un programma di transizione per un cambiamento radicale.

E’ sempre stato e resta necessario costruire un fronte antieuropeista, ampio, esteso, internazionalista, pan-europeo, un polo che entrerà in rotta di collisione con l’austerità, il neoliberalismo, l’eurozona (il programma-sistema che organizza e scatena questo attacco).

Il nostro programma deve corrispondere non soltanto alla cornice nazionale di ogni paese ma dovrebbe promuovere una direzione anti-imperialista ed anti-capitalista ed un programma di solidarietà e cooperazione che dovrebbe includere anche gli altri paesi del Mediterraneo. E’ nostro compito costruire un polo di cooperazione contro l’Europa a guida tedesca, imposta attraverso le banche ed il loro strumento, la UE, e contro il permanente disordine in Africa del nord e nel sud-est del mediterraneo imposto dagli aeroplani e carri armati americani e non solo.

I nostri slogan sono:

- Pace e solidarietà tra i popoli
- Sovranità popolare ed indipendenza nazionale
- Un diverso modello economico, crescita per i popoli e non per le banche».


* Traduzione a cura di SOLLEVAZIONE

ELEZIONI: LA (GIUSTA) MOSSA DEL CAVALLO


[ 30 novembre 2017 ]

«O si riallineano i Trattati europei alla Costituzione italiana, oppure il nostro Paese recede unilateralmente dall'Unione europea, costi quel che costi». 


Questo è stato, assieme ad altri non meno importanti, un passaggio della Conferenza stampa svolta il 16 novembre scorso da Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia, presentando la LISTA DEL POPOLO

La ‘mossa del cavallo’? La nostra non è una lista di sinistra, ma una lista civica dalla parte del popolo. E infatti si chiama ‘Lista del popolo'”. Esordisce così, ai microfoni di Ho scelto Cusano (Radio Cusano Campus), il giornalista-saggista Giulietto Chiesa, che spiega l’iniziativa politica sua e dell’ex pm antimafia, Antonio Ingroia

“Vogliamo sottolineare subito che noi non siamo tra quelli che strillano contro il populismo” – continua – “Siamo dalla parte di quelli che stanno sotto e vogliamo batterci con loro contro quelli che stanno sopra. Facciamo un discorso rivolto a tutti i cittadini perché la Costituzione sia finalmente attuata. Non porteremo in Parlamento dei protestatari, ma gente che ha un programma serio e preciso. Facciamo già paura. Facciamo paura anche a Repubblica che stamattina ci prende in giro in prima pagina. Si rendono conto che se riusciamo a portare in giro le cose che diciamo ci saranno parecchi scossoni in Italia”. E aggiunge: “Con Ingroia ci siamo trovati sulla valutazione che l’Italia sta andando a picco e bisogna fare qualcosa. Con lui sono andato a prendere un caffè insieme e ci siamo chiesti: ‘Chi sono quelli che possono cambiare le cose?’ Le principali tre forze in Italia sono: Renzi che va a picco nel nulla. Poi c’è la vecchia destra, guidata da un uomo ormai passato di moda come Berlusconi, che si mette d’accordo con la Lega che è il nulla dal punto di vista intellettuale e politico. E infine” – continua – “c’è il M5S, che sta andando in braccio all’impero. 


Abbiamo visto il nuovo capo Di Maio che, violando tutte le loro regole, va negli Stati Uniti a inchinarsi di fronte all’impero per dire che sono dalla loro parte. Se il panorama è questo è chiaro a tutti che mezza Italia non va a votare. Quindi, abbiamo deciso di fare un tentativo di risvegliare un pezzo d’Italia, quello che al referendum sulla Costituzione ha votato No, nonostante tutti i giornali e le tv al servizio del potere”. Chiesa rincara sui 5 Stelle: “Io non dico che siano tutti farabutti nel panorama politico e infatti alleanze le faremo con qualcuno che ha un programma. Purtroppo il M5S non ha un programma, io ritengo che andrà indietro alle prossime elezioni, nonostante tutti i sondaggi che non corrispondono con i miei sondaggi personali. Andrà indietro, perché sta abbandonando tutti i suoi fondamentali. E’ diventato un partito” – prosegue – “guidato da un signore, che è un incompetente palese, il quale non ha nessuna esperienza politica e nessuna dignità politica. Questa mattina mi trovavo a rispondere alle mail dei più inviperiti fanatici 5 Stelle e gli ho scritto: ma secondo voi Di Maio rappresenta il M5S? Perché, se vi va bene Di Maio che decida la linea, eletto con uno scarsissimo consenso, per carità fate come volete, ma io con questa gente qui non so come discutere”.




Non siamo né un nuovo partito e non saremo mai un partito, né tanto meno un nuovo Movimento – Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa ci tengono subito a precisare, in apertura della conferenza stampa a Montecitorio per la presentazione de ‘La Lista del popolo – la mossa del cavallo‘ – le loro finalità: noi proponiamo un’alleanza popolare ai cittadini, contro i partiti”. “Ci rivolgiamo al 60% di elettori che hanno già deciso oggi di non votare alle prossime elezioni” afferma l’ex Pm Antonio Ingroia.

“Noi siamo in pieno colpo di stato, fatto senza i carri armati, ma portando il Paese per la quarta volta ad un elezione illegale. Questa legge elettorale è anticostituzionali e con la forza dell’inganno gli italiani saranno costretti ad andare a votare un nuovo Parlamento di nominati – afferma Giulietto Chiesa che aggiunge – ci divertiremo nel corso della campagna elettorale a mettere tutti in mutande”. Punti cardini della lista: “un’offensiva costituzionale, una mossa del cavallo, per scavalcare le file nemiche: partiti e politici mestieranti, che hanno determinato la fine della democrazia partecipata, quindi noi dobbiamo tornare alla Costituzione, della quale pretendiamo l’attuazione totale. Ecco il nostro programma rivoluzionario”.


Inoltre Ingroia, Chiesa, e gli altri organizzatori della ‘Mossa del Cavallo’ da David Riondino, a Vauro, dall’avvocato Sandro Diotallevi all’ex generale dei Carabinieri Nicolò Gebbia chiede la “Cancellazione dei trattati europei che non si rifanno alla Costituzione italiana: o si riallineano ad essi, oppure l’Italia dovrà recede unilateralmanete da questi trattati, costi quel che costi. Sulla Costituzione europea non si tratta – afferma Ingroia che aggiunge – i governanti italiani sono traditori della Costituzione e del popolo italiano, perché hanno trattato sulle nostre teste, vendendoci alle lobbies europee che quei trattati li hanno hanno scritti”. E Giulietto Chiesa sottolinea: “Per una nuova Europa ci vuole una nuova costituzione europea basata sulla volontà dei popoli, che deve essere espressa con dei referendum popolari. Porteremo questa nuova forza politica nel nuovo Parlamento, ne sono sicuro”


mercoledì 29 novembre 2017

ELEZIONI: ATTENTI ALLE CANTONATE di Leonardo Mazzei

[ 29 novembre 2017 ]

Abbiamo pubblicato, giorni addietro, un dettagliato Vademecum sulle elezioni, spiegando i meccanismi previsti dalla nuova legge elettorale Rosatellum 2.0. Legge che pochi pare abbbiano davvero compreso. Ad esempio Aldo Giannuli e Stefano D'andrea e, addirittura, lo stesso Rosato. 
Le cantonate capitano. Chi non le prende alzi la mano! Quando però diventano troppe sullo stesso argomento, esse ci segnalano qualcosa che non va. E ci obbligano a qualche riflessione.
Sto parlando della nuova legge elettorale, tema di cui tanti discutono spesso senza capirci granché, come nel caso di certi commentatori di cui ci siamo già occupati, a proposito dei cosiddetti "accordi tecnici nei collegi", talmente "tecnici" da essere tecnicamente impossibili (e guarda caso non se ne parla proprio più, chissà perché...). Qui però non mi riferisco a giornalisti dalla collaudata superficialità, bensì a soggetti solitamente "informati dei fatti".

Mi ha colpito in proposito uno scritto di Aldo Giannuli, persona molto preparata in materia. E' lo stesso Giannuli che ha istruito il percorso che ha portato alla formulazione della proposta di legge di M5S. Detto en passant, proposta a nostro avviso pessima, ma questo è un altro discorso. Di certo non si può dire però che Giannuli non conosca i sistemi elettorali. Al contrario.

A maggior ragione ho sgranato gli occhi di fronte a questa sua affermazione: 
«La legge attribuisce 232 seggi ai collegi uninominali e 398 alle circoscrizioni proporzionali, inoltre è previsto un premio di maggioranza per la lista di maggioranza relativa che superi il 40%». 
Lì per lì ho pensato di aver inteso male. Come può uno preparato come Giannuli non sapere che la nuova legge non contiene nessun premio di maggioranza? Invece avevo letto bene, tant'è che subito dopo il Giannuli tranquillizza: 
«Stando alle previsioni che abbiamo fatto, nessuno dei tre blocchi maggiori raggiungerebbe il 40%, anche se il centro destra potrebbe avvicinarsi sensibilmente all’obiettivo».
In realtà il premio proprio non c'è. Quella del 40% è solo una soglia giornalistica. Siccome la nuova legge è al 36% maggioritaria, e siccome il sistema è sostanzialmente tripolare, si può calcolare all'ingrosso che chi arrivasse al 40% dei voti potrebbe sperare in un 50% di seggi, grazie appunto al bottino dei collegi uninominali. E' un'ipotesi abbastanza realistica, ma tutt'altro che una certezza, men che meno una soglia di legge.

Il mito dell'obiettivo del 40% non viene fuori per caso: fa gioco a Renzi, che lì arrivò nel (molto lontano) 2014, come nel giorno della sua sconfitta referendaria di un anno fa; fa gioco alla destra, per ringalluzzire una coalizione assai fragile sul piano politico; ma serve pure ad un M5S che vorrebbe così far credere di poter vincere senza alleanze. Proprio per la smaccata strumentalità di questa soglia, che nella legge non c'è, sarebbe bene evitare le trappole della propaganda e spiegare invece l'effettivo meccanismo elettorale.

Meccanismo altamente truffaldino, ma dove l'effetto distorsivo in senso maggioritario non è dovuto ad un inesistente "premio di maggioranza", bensì ai collegi uninominali all'inglese ed al rigido legame che salda indissolubilmente la quota maggioritaria con quella proporzionale.

Di tutto ciò sembra non essersi accorto Stefano D'Andrea, il quale ci rifila inopinatamente il seguente titolo: «Un (grande) merito dell'attuale legge elettorale». Il testo del D'Andrea —lo dico senza ironia alcuna— ha un gran pregio: la brevità. Ma quale sarebbe invece il "grande merito" dell'edizione 2017 dell'ennesima legge truffa? Semplice. Essa avrebbe il potere di «Reindirizzare finalmente l’Italia verso la forma di governo parlamentare». Egli ci dice che con la nuova legge le cose non andranno meglio ma neppure peggio di prima. Dunque, ecco la sua conclusione: 
«Sarà chiaro a tutti a quel punto che il maggioritario, i premi di maggioranza e la governabilità erano balle per turlupinare il popolo e aggredire la forma di governo parlamentare e quindi la Costituzione».
Certo che erano anche tutto ciò. Ma erano sono? Lo so che è incredibile, ma D'Andrea sembra ignorare che il maggioritario è stato reintrodotto per altra via. La sua soddisfazione per la nuova legge si può quindi spiegare solo in due modi: o ha perso la testa o non ci ha capito nulla. Propendiamo per la seconda ipotesi, quella relativamente meno grave.
Ma perché questa cantonata? Che sia stato il gran chiacchiericcio mediatico sul "ritorno al proporzionale", se non addirittura alla "Prima repubblica", ad aver colpito dalle parti del "Fronte sovranista"? Sta di fatto che quello del Rosatellum è un meccanismo reso largamente maggioritario dai collegi uninominali all'inglese. [1]
Ora magari il D'Andrea ci dirà che c'è pur sempre un 64% (scarso) di proporzionale. Già, ma se è per questo anche il Porcellum aveva una base proporzionale. In quel caso la rappresentanza veniva stravolta dal premio di maggioranza, qui dai collegi maggioritari. Due strumenti diversi per raggiungere lo stesso fine, quello di dare alle forze sistemiche un numero di seggi ben maggiore rispetto ai consensi riscossi nelle urne. Dov'è dunque il "merito" di questa legge? Ai lettori l'ardua sentenza.
Ma siccome il mondo è bello perché vario, chiudiamo con un'altra cantonata. In questo caso non sappiamo se sincera o studiata ad arte. Il dubbio è inevitabile, dato che la castroneria è stata pronunciata nientemeno che dall'autore (ma sarà quello vero?) della legge. Cioè, proprio lui, Ettore Rosato da Piddinia City.
Per meglio intimorire i transfughi di Mdp egli dice a la Repubblica (che prende il tutto per oro colato):
«E' molto semplice – sintetizza il padre della riforma elettorale, Ettore Rosato — nel proporzionale questa legge assegna 3,3 deputati per ogni punto percentuale. Fate un po' voi i conti…». 
Eh già Rosato, facciamoli và due conti già che ci siamo.
I conti a cui ci chiama questo genio della matematica (i giornali hanno parlato addirittura di "coefficiente Rosato" e di algoritmi che non c'entrano proprio nulla) sono invece una robina da scuola elementare.
Premesso che Rosato parla della Camera, abbiamo già visto che i seggi attribuiti con metodo proporzionale sono 398, di cui 386 quelli relativi al territorio nazionale. Ora, se fosse vero quel che dice Rosato —un punto percentuale = 3,3 deputati— avremmo invece l'elezione con il proporzionale di soli 330 deputati (3,3 x 100 = 330). Ora, capisco bene che a Rosato piacerebbe mettere da parte, riservandolo al Pd, il tesoretto dei 56 seggi "scomparsi", ma temo per lui che a questo punto non si sia ancora arrivati. Il coefficiente di legge non è dunque 3,3 bensì 3,86 (386 : 100 = 3,86).
La differenza tra 3,3 e 3,86 potrà sembrare a qualcuno un peccato veniale (per una forza stimata sul 5% significa attribuirgli 15 seggi al posto dei 19 di legge), ma è pur sempre la differenza che passa tra la verità e una bugia.
Per oggi fermiamoci qui. Tanto il teatrino politico-mediatico ci offrirà senza dubbio altre bufale di cui occuparci. Chi però da questo teatrino è fuori dovrebbe stare un po' più attento a quel che dice. Viceversa si finisce per alimentare una confusione che fa solo gioco a lorsignori, mentre a noi compete semmai svelare la realtà nella maniera più chiara possibile. 

NOTE

[1] Nell'articolo in questione Stefano D'Andrea, con la consueta sicumera, scrive tra l'altro: «E, a differenza di quanto credono oggi gli ingenui, ancora storditi dal concetto ingannatore di governabilità, non si tornerà a votare con immediatezza ma, al contrario, si tenteranno tutte le strade». Che tenteranno tutte le strade è sicuro, ma vorremmo ricordare che tra queste, c'è quella di un veloce ritorno alle urne. Nel Palazzo si vocifera addirittura in estate... [NdR]

martedì 28 novembre 2017

"ELEZIONI: NON FACCIAMO PAZZIE" di Mimmo Porcaro e Ugo Boghetta

[ 29 novembre 2017 ]

Volentieri pubblichiamo questo contributo di Porcaro e Boghetta. Essi svolgono dei ragionamenti pienamente condivisibili, sia riguardo al pantano strategico in cui si dimena la "sinistra radicale", sia riguardo ai profondi limiti politici dell'iniziativa di Je so' Pazz' di mettere su una lista elettorale di sinistra-sinistra —che sostituisce il vecchio simbolismo identitario con una sindacalismo sociale movimentista privo di strategia politica.  
Porcaro e Boghetta, escludono quindi che ci sia la possibilità di costruire una lista elettorale del sovranismo  costituzionale. 
Qui non siamo d'accordo. Una finestra invece è ancora aperta. Ne parleremo nei prossimi giorni...



La sinistra Subbuteo e la vera partita del paese 
di Mimmo Porcaro e Ugo Boghetta

Il Brancaccio è fallito. Meno male. Forse qualcuno la smetterà di tentare di aggregare gli sconfitti usando le stesse parole d’ordine che hanno causato la sconfitta stessa. Forse qualcuno la smetterà di credere che la proposta dell’unità della sinistra sia il sostituto efficace di una vera strategia politica, quando per la maggior parte del popolo italiano “sinistra” significa per lo più delusione e liberismo. Il Brancaccio è fallito e questo, nel piccolo mondo della sinistra radicale, può essere un piccolo evento salutare perché impedisce che tutta quella sinistra si attacchi da subito al carro dei D’Alema e dei Bersani, e si presti perciò a fare la forza di complemento per i vari governi d’emergenza che dovranno garantire l’ “europeismo” del paese, e quindi la sua subordinazione al liberismo. E perché dopo il fallimento qualcuno ha pensato di reagire. 
Roma 18 novembre: l'assemblea promossa da Je s' pazz'
Cosicché, dall’assemblea romana di Je so’pazz’, da Rifondazione, dal Partito Comunista, da diverse realtà di base e singoli militanti è emersa l’esigenza di formare una lista popolare per le prossime elezioni. La reazione è comprensibile e positiva, e addirittura, in qualcuno degli interventi in cui si è espressa, è accompagnata da qualche sortita dal linguaggio abituale e da qualche significativo  spostamento in direzione anti Ue. Tanto che Eurostop, l’organizzazione di sinistra che con maggior impegno ed efficacia lavora per una rottura dei vincoli europei, ha accettato l’invito a discutere della fattibilità politica e tecnica della lista elettorale.

Ora, noi siamo da sempre sostenitori della necessità di presentare una lista (ed ancor prima un progetto) di lealtà costituzionale e recupero della sovranità in funzione e condizione di una rottura con le politiche neoliberiste, e crediamo che se qualcuno oggi volesse eludere il problema delle elezioni invocando la necessità di partire dal basso, dal “sociale”, indicherebbe una strada sbagliata, perché l’assenza di mobilitazione sociale è oggi in buona misura spiegabile proprio con l’assenza di prospettiva politica. E perché lo stesso lavoro di radicamento di massa richiede un impegno talmente grande (dovendo essere fatto nelle forme del mutualismo, del “partito sociale” e così via) da poter essere gestito soltanto da gruppi politici di una certa forza e di una certa dimensione: forza e dimensione che potrebbero aumentare a seguito di una prima vittoria politica dopo decenni di sconfitte.

Ciononostante crediamo che la proposta di costruire oggi, in funzione delle elezioni di domani, una simile lista, arrivi davvero troppo tardi perché c’è pochissimo tempo e bisogna superare moltissimi ostacoli, che si riassumono semplicemente nella presenza diffusa di un sinistrismo che condannerebbe la lista al famoso Zero Virgola rendendo molto più difficile ogni mossa successiva. Un sinistrismo che consiste nel parlare di democrazia partecipata a chi non ha tempo e risorse per partecipare, di parlare di
conflitto a chi non si trova nella posizione per farlo, nel parlare solo di accoglienza e di apertura a chi ha legittimamente paura che il mondo gli sia completamente ostile, nel parlare di classe quando la gran parte dei lavoratori occupati ed organizzati è al momento conservatrice, e la gran parte delle masse del quasi-lavoro si percepisce, se va bene, soltanto come popolo. Un sinistrismo che finirebbe in realtà solo per parlare a se stesso: come sempre. Un sinistrismo che riesce anche ad annacquare il riferimento alla Costituzione insistendo sull’aspetto della sovranità popolare per nascondere quello della sovranità nazionale, che è invece condizione di possibilità del primo. Un sinistrismo, infine che inchioda numerosi e validi militanti all’impotenza perché li costringe a ristagnare in un linguaggio che è una variante estremista del discorso delle élite globaliste: meno stato, niente nazione, poca politica e tanto progresso; nessuna rottura puntuale e localizzata del potere, nessuna riconquista della possibilità della politica nell’unico spazio possibile, quello nazionale. Con questo linguaggio una lista di presunta “vera sinistra” si condannerebbe a dire cose che agli elettori parrebbero uguali a quelle dei D’Alema e dei Fratoianni, solo dette in maniera più incazzosa. Un misto di estremismo verbale e moderatismo nei contenuti che spiega gran parte della triste irrilevanza politica di quest’area.

Ora questo sinistrismo comincia a scricchiolare, qualcuno comincia a parlare a ragion veduta di popolo, qualcuno si decide a fare il passo anti Ue, e tutto ciò, in un’ottica di medio periodo, è da considerarsi assolutamente positivo. Ma la partita oggi si gioca nel breve periodo, che diventa brevissimo se si considera che il lavoro da farsi è soprattutto di carattere culturale, e si riassume nella necessità di accettare pienamente la dimensione nazionale dell’azione (se Mélenchon e Corbyn hanno avuto qualche successo è anche grazie a questa scelta) vedendola non soltanto come una dura necessità ma come un’opportunità. Non è certo con artificiosi e verbosi compromessi sulla questione dell' ”Unione dei Trattati” che si risolve il problema di cambiare l'impostazione rispetto alle  esperienze precedenti: ultima la lista Tsipras. In questo cono d'ombra il programma diventa inevitabilmente la solita lista della spesa a cui manca proprio la condizione sine qua non per attuarla. E non serve a molto risolvere il problema con frasi scarlatte inneggianti ad un vago potere al popolo. Nel mondo degli imperialismi nazionali novecenteschi era giusto essere antinazionali –anche in quell’epoca, però, il discorso mutava quando si trattava di nazioni oppresse. Ma quando, come oggi, l’imperialismo della “triade” occidentale agisce attraverso la distruzione delle nazioni (delle nazioni subalterne, ovviamente); quando il sud d’Europa è posto in una condizione – inedita in Occidente – di dipendenza strutturale e permanente nei confronti del Nord; quando tale dipendenza rende inevitabile la compressione dei salari e del welfare;  quando tutto questo accade l’autonomia di classe si lega strettamente all’autonomia nazionale. E la rivendicazione della sovranità nazionale diviene condizione necessaria, pur se insufficiente, sia della ripresa di un efficace conflitto di classe, sia del progresso civile del paese. Ma anche di contrasto al crescere della destre ed alle giravolte del M5S.

La dimensione nazionale della nostra iniziativa deve quindi divenire un nostro tratto distintivo, deve essere valorizzata nella battaglia culturale e nello scontro elettorale. E non soltanto perché questo ci consente di costruire più facilmente una vasta rete di alleanze sociali col pulviscolo delle partite Iva, coi piccoli e medi imprenditori, ecc.. Prima ancora, e soprattutto, c’è il fatto che la stessa unificazione dei lavoratori, data la dispersione sociale e culturale della classe, non può avvenire che attraverso il richiamo all’appartenenza comune ad un paese che è retto da una Costituzione lavorista e tendenzialmente socialista, possibile argine contro il liberismo dell’Unione. Insomma: nei nostri comizi dovremmo mescolare bandiere rosse e bandiere tricolori (e questa è ancora una proposta moderata: guardate i video dei comizi di Mélenchon…). Siamo capaci di farlo, oggi? A nostro parere no. Anzi, il trasformismo di alcuni propone di nascondersi dietro la foglia di fico di Mélenchon e Podemos fingendo di non capire, o non capendo davvero, che la cifra del loro successo è proprio la dimensione nazionale, il patriottismo democratico!
Allora, se non siamo ancora in grado di raggiungere queste consapevolezze, diamo tempo al tempo. Iniziamo già da oggi il lavoro, ma avendo in mente soprattutto la scadenza delle elezioni europee (2019) e considerando che dopo le esose richieste che la Commissione europea ci presenterà a primavera, sarà più facile stracciare gli ultimi residui di europeismo e lavorare per convergenze unitarie. Dunque, si apra subito il confronto, valorizzando al massimo le novità del momento. Ma lo si finalizzi alle elezione europee e, soprattutto, lo si basi su precise direttrici di metodo e di contenuto.


Quanto al metodo deve trattarsi di un confronto a tutto campo e coinvolgere, oltre ai già noti,  i compagni della Confederazione diLiberazione Nazionale e l’area nella quale agiscono, la Lista di Popolo di Chiesa ed Ingroia, l’interessante esperienza di Senso Comune, le variegate componenti del sovranismo costituzionale, lo stesso composito movimento di De Magistris. La gran parte di queste forze può e deve convergere in una prospettiva nazional-democratica, e soltanto da questa convergenza può nascere una proposta politico-elettorale credibile: ma è chiaro che più largo è lo spettro delle forze interessate, più lungo è il processo di mediazione.

Quanto ai contenuti, per avere una minima possibilità di successo e per costituire il punto di partenza di una più ampia aggregazione una lista dovrebbe darsi  almeno i seguenti punti programmatici:

1)    Dignità del lavoro/ dignità del paese. Il problema del lavoro si risolve soltanto con un programma di piena occupazione sostenuto da un intervento pubblico e da imprese e banche pubbliche (con la retorica dei beni comuni non si crea piena occupazione). Ma un tale programma è incompatibile con la sottomissione del paese ai vincoli dell’Unione europea e nell’Unione monetaria.
2)    Sovranità popolare/sovranità nazionale. Il rafforzamento del settore pubblico rappresenta un importante momento di attuazione della sovranità popolare perché funge da contrappeso al  potere dei mercati. Una tale sovranità deve attuarsi anche nei confronti dello stesso settore pubblico, prevedendo forme di intervento diretto delle associazioni popolari nella definizione dei suoi indirizzi e nel controllo del suo funzionamento.  Ma la riaffermazione della sovranità popolare è frase vuota se non si coniuga con la riaffermazione della sovranità nazionale, che è il presupposto dell’efficacia delle decisioni popolari, e quindi con la rottura dell’Unione europea.
3)    Rifinanziamento e ripubblicizzazione del welfare. Non è sufficiente superare la scarsità di mezzi a cui il liberismo condanna il welfare pubblico, bisogna anche ridurre tutte le forme di erogazione privata dei servizi sociali e tutte le forme di precarizzazione del lavoro che esse comportano. Anche se tutto ciò urta contro gli interessi materiali di una parte non piccola della sinistra che ha cogestito la privatizzazione scambiandola per socializzazione della sfera pubblica.
4)    Sicurezza. Ebbene sì: sicurezza per tutte e tutti, per bianchi e per neri. E’ un tema vissuto come decisivo dai ceti popolari e dunque deve essere decisivo anche per noi. Non si tratta di “inseguire la destra sul suo terreno”, ma di riprenderci un terreno che deve essere nostro. Sicurezza contro le turbolenze guerreggiate mondiali, sviluppando una politica internazionale di pace. Sicurezza contro la miseria, puntando su lavoro e welfare. Sicurezza contro la criminalità ed il degrado, sia facendola gestire direttamente dagli abitanti dei quartieri attraverso la riconquista e la cura degli spazi pubblici, sia ampliando e riqualificando gli organici delle forze di polizia, utilizzandoli con funzione di mediazione sociale invece che di ordine pubblico.
5)    Regolarizzazione e regolazione dell’immigrazione. Dobbiamo renderci conto che la giusta e necessaria regolarizzazione degli immigrati (fondamentale anche per una positiva gestione del mercato del lavoro) implica una regolazione del flusso dell’immigrazione senza la quale (se, come tutti prevediamo, questo flusso assumerà necessariamente dimensioni sempre crescenti) verranno a mancare le risorse economiche, sociali e politiche per la regolarizzazione stessa. Anche in questo caso non si tratta di inseguire la destra sul suo terreno. Si tratta di dire la verità: nessun paese, tantomeno un paese come il nostro, può pensare di non regolare in alcun modo i flussi. Nessun governo, nemmeno un nostro governo, potrebbe evitare di farlo. Non si tratta di imitare Minniti, si tratta quanto meno di porsi il problema. Parlando solamente di accoglienza perderemmo il contatto con la gran parte della nostra gente, e lo perderemmo per non aver detto cose… che saremmo poi costretti a fare se fossimo al governo. Un vero paradosso che può essere superato con la proposta convinta della coppia regolarizzazione/regolazione.
6)    Nuova collocazione internazionale dell’Italia. Tutto quanto sopra ha un senso ed è possibile soltanto se l’Italia esce dalla propria collocazione euroatlantista e partecipa alla costruzione di un’area di cooperazione economica e di pace (iniziando ad eliminare le atomiche dal proprio territorio) che possa costituire una terza forza nello scontro tra Occidente e Oriente. La rottura con l’Ue deve essere accompagnata da subito con una proposta di nuova alleanza fra gli stati del continente fondata questa volta su un patto politico che espressamente rifiuti una soluzione bellicista e la prosecuzione del mercantilismo che ha accresciuto le diseguaglianze, gli squilibri e la tendenza alla guerra. Rapporti con la Russia, la Cina e col complesso dei Brics devono divenire asse normale dello sviluppo del paese. Così è, ovviamente, per il ruolo nel Mediterraneo. L’obiettivo non può essere tanto, o immediatamente, quello della collaborazione con stati orientati al socialismo, quanto quello della collaborazione con stati che intendano sottoporre a controllo politico i movimenti del capitale e intendano accettare una regolazione degli scambi che non si traduca nella deflazione competitiva a danno dell’occupazione e dei salari.
Siamo sicuri che intorno a questo asse si possa costruire non soltanto una lista, ma, progressivamente, quella vera e propria coalizione costituzionale di cui questo paese ha bisogno (e che potrebbe anche essere lo spazio migliore per far crescere una autonoma presenza comunista). Siamo sicuri che dicendo queste verità si possa ottenere un buon consenso, quantomeno il consenso necessario a porsi ulteriori obiettivi di crescita politica. Così come siamo sicuri che la ripetizione del nostro solito frasario umilierebbe le nostre migliori idee e ci condannerebbe ad arrestare sul nascere un cammino che potrebbe invece portarci molto lontano. Servirebbe solo a regolare i conti nel nostro piccolo cortile, quando il campo della nostra azione potrebbe e dovrebbe essere molto più vasto. Sarebbe come restare a casa a giocare a Subbuteo fra amici quando si potrebbe giocare una partita vera.



DI BATTISTA TRADITORE di Sandokan

[ 28 novembre 2017 ]

"Morale della favola: Di Battista stia attento dalle parti dell'aeroporto di Fiumicino, che qualche malintenzionato potrebbe mettergli le mani addosso".


Non so chi di voi abbia assistito alla puntata di OTTO e MEZZO di ieri sera, 27 novembre.

Ospite in studio, assieme all'onnipresente Alessandro Di Battista, c'era l'attore Riccardo Scamarcio.

Sorvolo per carità di patria sulla stucchevole telenovela del bebé e del secondo mandato su cui vi ho già detto la mia —in sintesi: Di Battista bluffa.
E sorvolo pure sulla maschera da piacione-bamboccione che Di Battista esibisce ogni volta che va in Tv —ho sempre la stessa vaga fastidiosa sensazione che ci pigli tutti per il culo.

Non l'avete vista la trasmissione? ECCOLA QUI.

Perché ve la segnalo? Semplice, per rinfrescarvi la memoria sulla vicenda ALITALIA e su quanto sia ignobile la posizione del Movimento 5 Stelle.

Andate al minuto 5:29.
Per favore, fatelo! Capirete tante cose. 
Aggiungi didascalia

L'attore Scamarcio [nella foto a destra], interrogando l'interlocutore denuncia, in modo impeccabile, le privatizzazioni catastrofiche di ALITALIA e perora la giusta causa della ri-nazionalizzazione, causa che questo blog ha avuto il merito di sostenere —vedi il successo della petizione ALITALIA ALL'ITALIA
La Gruber è costretta a questo punto a chiedere al Di Battista: "Ri-nazionalizziamo ALITALIA?". Scamarcio: "Di Battista, dimmi di sì!"

Il Di Battista, dopo aver tentato di svicolare, inchiodato, risponde: 
«Noi abbiamo già preso posizione su ALITALIA, è complicato mettere altri soldi su ALITALIA, per cui quel che dovrebbe fare il governo è trovare degli acquirenti seri». 
E subito dopo abilmente ma vergognosamente, ovviamente spalleggiato dalla compiacente Gruber, la ributta sulla storiella dei "due mandati".

Sostanza: M5S è per la privatizzazione, quindi per la soluzione liberista come il Ministro calenda —e che i costi li paghino i lavoratori con licenziamenti in massa, bassi salari, precarizzazione selvaggia e abolizione delle tutele sindacali e dei diritti umani dei dipendenti.

La cosa di ieri sera sta facendo il giro tra i dipendenti (furiosi) ALITALIA, sia tra il personale di volo che quello di terra. Vi risparmio le contumelie sulle diverse chat dei lavoratori.

Morale della favola: Di Battista stia attento dalle parti dell'aeroporto di Fiumicino, che qualche malintenzionato potrebbe mettergli le mani addosso. 

Una cosa è sicura: se M5S fece il pieno dei voti tra i dipendenti ALITALIA ed in genere tra i lavoratori dello scalo di Fiumicino, la prossima volta prenderà una batosta di proporzioni oceaniche.

Aprano gli occhi quelli che hanno creduto al Di Battista come un "guerriero", come uno che rappresenta l'ala "radicale" di Cinque Stelle, quindi come alternativa al borghesuccio doroteo Di Maio. Errore! Questi due gaglioffi sono come i due carabinieri della barzelletta, che uno fa il buono e l'altro la parte del cattivo, ma entrambi per turlupinare e soggiogare il malcapitato cittadino.

Non ci credete? guardate un po' qui sotto che ti combinano i Cinque Stelle su ALITALIA. 
Il lavoratore che ci segnala il convegno scrive:
«Vi invio la locandina del convegno che questi infami faranno a Roma...hanno invitato tutti i "gestori" del settore, proprio gli attori dello sfascio della compagnia e NESSUNO di noi che lavoriamo in Alitalia...
Queste saccenti teste di cazzo che nulla sanno di trasporto aereo, dopo che li abbiamo portati in giro in mezzo alla gente che lavora e che sa, non hanno chiamato nessuno di noi, nessuno a nome dei lavoratori, nessuno, e questo la dice molto lunga e conferma tutto quello che noi temiamo di loro.
Li stiamo attaccando sul web come lavoratori Alitalia e sta succedendo un casino...pare che per pararsi il culo dovranno far uscire una rettifica a nome Lombardi/Dibba...
Come siamo ridotti...»














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